“Cristo è risorto! È veramente risorto!”

Davide Balliano
Davide Balliano

20 aprile 2025

Pasqua di Resurrezione
Omelia di fr. Sabino Chialà, priore di Bose

Lc 24,1-12

1 Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. 2Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro 3e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. 5Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? 6Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea 7e diceva: «Bisogna che il Figlio dell'uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno»». 8Ed esse si ricordarono delle sue parole 9e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. 11Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. 12Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l'accaduto.


Fratelli e sorelle,

eccoci giunti al cuore del mistero pasquale, alla notte santa, nella quale abbiamo sentito risuonare, ancora una volta, l’annuncio gioioso della resurrezione dai morti del Signore nostro: “Cristo è risorto! È veramente risorto!”.

Il Signore, che abbiamo seguito durante la sua passione e morte, è vivente: questa è la nostra fede! Fede a volte faticosa… e il racconto evangelico che abbiamo ascoltato ce lo ricorda. Ma fede che giustifica e dà un senso al nostro essere qui questa notte. Fede che questi giorni santi hanno cercato di rinvigorire, perché possiamo rimetterci in cammino con rinsaldata speranza.

Con questa veglia siamo al culmine della celebrazione pasquale, al punto verso cui tende l’intero cammino percorso nei giorni scorsi. Eppure, dopo le celebrazioni della cena del Signore e della sua passione, che le pagine della Scrittura e i gesti liturgici hanno reso particolarmente intense e drammatiche, eccoci davanti a un passo evangelico che ci riporta in un clima di intimità. I personaggi che affollavano le scene precedenti non ci sono più: guardie del tempio e discepoli, capi religiosi e autorità politiche, soldati e folle. Restano solo alcune donne e pochi uomini, che si aggirano, un po’ storditi, intorno a un sepolcro vuoto o che restano nel chiuso di una casa in attesa non si sa di cosa.

Ma al cuore del racconto, ecco un annuncio sconvolgente, recato “due uomini in abito sfolgorante”. Lo abbiamo appena ascoltato e ancora lo riascoltiamo, come rivolto a noi: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto!” (v. 4-6).

Già… perché cercate tra i morti? La domanda potrebbe sembrare retorica, ma non lo è! Suona come un rimprovero e lo è. Ma è lì che noi esseri umani siamo abituati a cercare coloro che abbiamo visto morire! E le donne fanno quello che sanno fare, quello che noi sappiamo fare, e continuiamo spesso a fare: cercare tra i morti!

Una ricerca non vana, tuttavia, se è lì che le donne odono e accolgono le parole dei due uomini, e si mettono in cammino. E piccoli passi iniziano: prima le donne, poi anche Pietro… Tutto molto discreto, ma è come un processo che lì inizia, per giungere fino a noi.

Innanzitutto le donne che, dopo una prima reazione di paura (v. 5), si mettono in cammino, “ricordando le parole” del Maestro (v. 8). Fanno memoria di quando era vivo, della loro esperienza con lui, della vita che la sua parola aveva immesso in loro… E quel ricordo provoca un cambiamento di rotta. Lc annota: “Tornate (u`postre,yasai) dal sepolcro, annunciarono…” (v. 9). Il verbo impiegato dall’evangelista reca l’immagine di una conversione, un cambiamento di sguardo e di passo.

Dopo le donne, vengono i discepoli. Anche per loro la prima reazione è negativa: “Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento – dice Lc - e non credevano ad esse” (v. 11). Ma qualcosa si muove anche tra i discepoli: “Pietro alzatosi (avnasta.j), corse al sepolcro” (v. 12). Anche qui il verbo è importante, essendo uno dei due verbi impiegati per la resurrezione.

Le donne si allontanano dal sepolcro, Pietro si alza: è la comunità delle discepole e dei discepoli che ricomincia un cammino, toccata da un annuncio che li raggiunge nel loro smarrimento.

La comunità aveva anch’essa vissuto una passione, di riflesso a quella del Maestro: si erano sentiti traditi, o semplicemente non vedevano più il senso del cammino fatto, e per questo alcuni si erano allontanati… Un piccolo manipolo era tuttavia rimasto; ma chiuso, come stordito da eventi più grandi di loro. Le più intraprendenti in questa scena sono le donne, che escono e vanno a cercare. Anche se tra i morti, cercano… e non è poco!

In quell’immagine possiamo scorgere anche i nostri vissuti e la nostra missione. Anche noi siamo tra morti… perché sono una realtà che non possiamo fare a meno di guardare. Una realtà che non possiamo né dobbiamo evadere… Non è questo il messaggio di questa santa notte. Ma piuttosto: accogliere – tra i morti – l’annuncio dei due uomini. Ecco la sfida della fede!

La sfida della fede… cui due alternative sono possibili, due tradimenti della fede pasquale: fermarci ai morti, ritenendoli l’unico orizzonte credibile, attaccarci con tutte le nostre forze a quel sepolcro; oppure fare finta che la morte non ci sia, e che le pene sofferte dal mondo non ci riguardino.

L’opzione della fede è invece un'altra; ed è appunto quella di fare spazio all’annuncio pasquale “tra i morti”, perché è da lì che si leva il grido della resurrezione: lì siamo chiamati ad accoglierlo e a testimoniarlo. È da lì che bisogna cominciare. O meglio: ricominciare… L’annuncio pasquale è un annuncio che risuona tra i morti, quelli di ogni tempo e del nostro tempo. Deve risuonare lì, nella regione dei morti, e partire da lì, per andare oltre… Altrimenti rischia di ridursi a un grido di esaltati.

In questo ci conforta l’antica tradizione cristiana, che rappresenta la resurrezione non come il Gesù vittorioso che esce trionfante dalla tomba, munito di bandiera crociata, ma come il Figlio di Dio che fa luce negli inferi. Per la tradizione antica la resurrezione inizia dal regno dei morti: è una discesa prima che una salita; è una anastasis (un levarsi) che scende!

La luce della resurrezione è una luce che sorge dal basso degli inferi, dal Cristo sceso agli inferi, come dice un’antica omelia pasquale siriaca: “Oggi il sole di giustizia si è manifestato non dal cielo, ma dagli inferi. Infatti, qualcosa di inatteso è accaduto: gli inferi sono diventati immagine dell’oriente e il sole di giustizia si è levato di là”.

Anche noi, questa notte, accogliamo l’annuncio dei due uomini mentre ci aggiriamo tra morti di vario genere. Da quella luce vogliamo lasciarci rimettere in cammino e farcene annunciatori, come le donne; da quella luce vogliamo lasciarci rimettere in piedi, come Pietro.

Non è una luce che sbaraglia, che ferma guerre e deportazioni, che elimina la fame e la sete. Quello spetterebbe a noi umani... È invece una luce che dice prossimità e che promette redenzione e una vita oltre la morte, come pienezza e senso che qui sono negati.

Cristo è risorto e non è più da cercare tra i morti. Ma oggi noi possiamo dire che Cristo è risorto per i morti. Sta accanto a loro, e alle loro vite spezzate dà un senso. Scende negli inferi, nei nostri inferi. Non li distrugge, ma vi immette un raggio di luce, vi indica un cammino, una via d’uscita possibile, un senso dove noi esseri umani non siamo capaci di vederlo.

Questa notte noi celebriamo il Risorto che scende in ogni inferno che noi esseri umani siamo capaci di creare. Lì rivolge a ciascuno l’annuncio pasquale e l’invito a rimettersi in cammino. Un’omelia per il grande sabato, attribuita a Epifanio di Salamina, mette in bocca al Risorto queste parole che egli rivolge ad Adamo mentre si trova agli inferi: “Svegliati tu che dormi! Io non ti ho creato perché rimanessi prigioniero degli inferi. Risorgi dai morti! Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia icona, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te, siamo infatti un'unica e indivisa natura. Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo”.

Ci sono inferni davanti ai quali ci sembra impossibile non disperare. Inferni per i quali, come dicevo nelle omelie del giovedì e del venerdì santo, siamo chiamati, a imitazione di Cristo, innanzitutto a imparare a piangere, poi a operare in quegli inferi da servi responsabili, infine a non cedere al potere seduttivo del male, ma a interrogarlo e contestarlo, e intanto a prenderci cura di chi soffre accanto a noi… Questa notte ci è chiesto di fare un passo ulteriore, cui il Risorto ci invita: attestare la sua presenza di luce e di vita anche agli inferi.

Ci sono inferni che non riusciremo a sbaragliare – anche se è nostro preciso dovere non arrenderci – ma appartiene ai credenti di annunciare che il Signore risorto è sceso e ha lasciato anche in quegli inferni un raggio della sua luce. E ha promesso una vita che va oltre la morte. Una vita eterna che non ci esime dal vivere con responsabilità nella storia. Ma, anzi, ne accresce il valore, perché ci ricorda che le nostre storie sono destinate all’eternità. Questo è l’annuncio pasquale affidato ai cristiani!

Un annuncio che quest’anno abbiamo la gioia di proclamare insieme, cristiani d’oriente e d’occidente. E ricordo che questa nostra assemblea è composta da cristiani appartenenti a Chiese diverse, che vogliamo ricordare: la Chiesa Ortodossa Ucraina, le Chiese Riformate di Svizzera e di Francia, le Chiese Luterane e Pentecostali di Svezia e Norvegia, la Chiesa Cattolica. Portiamo nella nostra preghiera le nostre Chiese, insieme alle loro divisioni. E in particolare quei cristiani che quest’anno vivono la Pasqua nell’insicurezza, nel pericolo, nella persecuzione e nella guerra. Affidiamo tutti al Signore risorto.

Chiese e comunità ferite da divisioni insensate, inarrestabili conflitti tra popoli fratelli… possono far vacillare la nostra fede e farci sembrare insensato quello che stiamo celebrando. Ma il mistero che stiamo rivivendo non è opera nostra: noi semplicemente accogliamo l’opera che il Signore compie in noi.

Allora possiamo osare celebrare la Pasqua del Signore, come Pasqua nostra e di questa nostra umanità e dire, con fede, con le parole di Cristina Capo nella poesia Ràdonitza (Annuncio della Pasqua ai morti):

Nel vento di primavera
l’antica chiesa indivisa
annuncia ai morti che indivisa è la vita.