L’accoglienza delle proprie debolezze
30 ottobre 2024
Lc 13,22-30
In quel tempo Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: «Signore, aprici!». Ma egli vi risponderà: «Non so di dove siete». 26Allora comincerete a dire: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze». 27Ma egli vi dichiarerà: «Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!». 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
L’annotazione iniziale che descrive Gesù cha passa per città e villaggi insegnando e camminando verso Gerusalemme è densa di significato. Apparentemente descrive ciò che Gesù sta facendo e dove sta andando, ma in realtà è una sintesi di tutta la sua vita terrena. Infatti, quel camminare verso Gerusalemme è un andare verso il luogo dove si compirà non solo la sua esistenza terrena ma anche il suo insegnamento.
Sì, perché Gesù non ha insegnato diversamente da come ha vissuto e non ha vissuto diversamente da come ha insegnato. A Gerusalemme infatti verrà drammaticamente ucciso. Gesù lo sa benissimo come mostrano i versetti successivi al nostro brano, ma non si sottrae al passare attraverso la porta stretta della passione e morte perché sa che al di là di essa c’è la luce della resurrezione che lo aspetta.
Il testo continua con una domanda posta da un tale. Di costui non viene data nessuna informazione, ma il modo con cui si rivolge a Gesù rivela una grande fiducia in lui che non stenterei a definire vera e propria fede. Infatti, chiama Gesù con un pregnante: “Signore”. Avrebbe potuto chiamarlo didáskale cioè insegnante. Il che sarebbe stato più appropriato visto che stava insegnando (didáskon). Oppure un altro titolo che all’epoca si utilizzava era: “Rabbi”, cioè maestro, ma anche in questo caso sarebbe stato espresso un rapporto maestro/discepolo che non arriva ancora alla pienezza del rapporto con Gesù. Rapporto che deve arrivare a riconoscere Gesù come Signore della propria vita.
Proprio in virtù di questa fede in lui Gesù va a fondo nell’annuncio della sua buona notizia. Buona notizia che resta tale anche se richiede di passare per la “porta stretta”.
Sembra difficile credere che il passare per la porta stretta sia buona notizia. Tanto più che viene richiesto uno sforzo per passarvi attraverso: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. E questo sforzarci richiama a un vero e proprio lottare e combattere. Qui Gesù si riferisce al faticoso lavoro interiore che ogni essere umano deve impegnarsi a compiere per realizzare la propria qualità umana e spirituale. Lavoro interiore che è stato compiuto innanzitutto da Gesù in se stesso e che in virtù di questo suo sforzo egli può chiedere anche a noi.
Questa è la vera autenticazione del suo messaggio. Questo è ciò che può fare di lui il nostro unico Signore. “Signore” perché capace di portare salvezza nelle nostre vite nonostante le molte difficoltà che incontriamo.
La porta stretta che oggi Gesù ci chiede di sforzarci di attraversare è quella serie di difficoltà che sono parte della vita di ciascuno di noi. Difficoltà che non ci vengono magicamente tolte, ma attraverso cui siamo accompagnati da colui che può farcele attraversare per condurci in quel regno di Dio a cui tutti dall’oriente all’occidente, dal settentrione a mezzogiorno siamo destinati.
Unica condizione: non voler primeggiare. La lotta per passare per la porta stretta è lotta contro sé stessi e non contro gli altri. È lotta contro il nostro voler metterci al primo posto schiacciando gli altri all’ultimo. È lotta che libera dall’ansia di prestazione e accompagna ad accogliere le proprie debolezze. Questa è davvero la buona notizia che può accompagnarci nel cammino della nostra vita.
fratel Dario a Cellole