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Evangelho Dominical

Transfiguração do Senhor

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6 agosto 2013
comentário ao Evangelho
de
ENZO BIANCHI
A Transfiguração é o mistério da transformação: o nosso corpo e esta criação são chamados à transfiguração, a transformarem-se n'"Outro”. O nosso corpo de miséria tornar-se-á um corpo de glória

6 agosto 2013

Lc 9,28b-36

Ricorre oggi la festa della Trasfigurazione del Signore, celebrata a partire dal IV secolo in oriente e dall’XI in occidente. In questa festa, quasi ignorata o celebrata distrattamente nell’euforia vacanziera che contagia anche molti cristiani, si contempla il volto di Gesù Cristo radioso di una luce di vita e di comunione destinata a tutto l’universo, all’umanità intera.

Nell’intenzione degli evangelisti e di Pietro – che nella sua Seconda lettera invita a discernere nella trasfigurazione un’anticipazione della venuta nella gloria del Signore Gesù Cristo (cfr. 2Pt 1,16-19) – l’episodio della trasfigurazione deve essere letto e contemplato come un evento realmente accaduto nella storia, nella vita di Gesù, davanti a testimoni per i quali ha avuto un significato determinante e attraverso i quali è stato raccontato. Non si tratta dunque di un mito e neppure di un midrash cristiano: no, la trasfigurazione è rivelazione, è un alzare il velo su Gesù in modo che il discepolo conosca l’identità più autentica del suo Signore e lo segua con maggior consapevolezza.

Avendo già sostato in modo puntuale sul racconto lucano della trasfigurazione nel commento per la II domenica di Quaresima, qui vorrei solo evidenziare alcune linee essenziali del messaggio che da questa pagina discende per la nostra vita di credenti. Innanzitutto contemplare la trasfigurazione significa comprendere con una maggior profondità l’evento del battesimo di Gesù. La parola di Dio rivela l’identità di Gesù: egli è il Figlio di Dio che deve fare esodo, cioè patire-morire-risorgere. Nello stesso tempo l’evento della trasfigurazione annuncia ciò che accadrà a Gerusalemme, quando nell’ora della croce il centurione confesserà: «Veramente quest’uomo è il Figlio di Dio, il Giusto!» (cfr. Mc 15,39; Lc 23,47). Sì, l’evento della trasfigurazione è memoriale del battesimo e oracolo della croce, e la posizione centrale assegnatagli dai vangeli sinottici vuole proprio indicare questa sua qualità di memoriale e di profezia, di compimento di ciò che è stato manifestato nel battesimo e di anticipazione di ciò che avverrà nella resurrezione e nella parusia.


 

Ma la trasfigurazione è anche mistero di luce, che illumina tutto il corpo (Israele e la chiesa; Mosè, Elia e i discepoli) insieme al capo (cfr. Ef 1,22-23; Col 1,18). Infatti il Primo Testamento testimonia e Gesù interpreta il Primo Testamento; i discepoli, a loro volta, accolgono Gesù, accolgono la testimonianza delle Scritture e accolgono il comando del Padre in vista dell’ascolto del Figlio. La trasfigurazione può dunque essere colta anche come esperienza di ascolto della parola di Dio contenuta nelle Scritture: queste, infatti si sintetizzano in Cristo e conducono a lui; ed è lui, il Figlio amato ed eletto del Padre, che va ascoltato attraverso le Scritture. Non c’è immagine biblica più efficace per narrare l’unità della fede nei due Testamenti, la centralità di Gesù il Messia, la pienezza della rivelazione in lui, l’essere un solo corpo da parte dei credenti che nell’Antico Testamento attendevano il Messia e nel Nuovo lo confessano e lo annunciano.

E infine la trasfigurazione è mistero di trasformazione: il nostro corpo e questa creazione sono chiamati alla trasfigurazione, a diventare “altro”; il nostro corpo di miseria diventerà un corpo di gloria (cfr. Fil 3,21), e «la creazione che geme e soffre nelle doglie del parto» (cfr. Rm 8,22) conoscerà il mutamento in «cielo nuovo e terra nuova» (Is 65,17; Ap 21,1). Ciò che è avvenuto sul monte Tabor in Gesù Cristo avverrà per tutti i credenti e per il cosmo intero alla fine della storia: ecco la grande speranza che già oggi illumina il nostro cuore…

Nell’attesa di quel giorno a noi non resta che contemplare, per quanto ne siamo capaci, «il volto di Cristo su cui risplende la gloria di Dio» (cfr. 2Cor 4,6): così, «riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasfigurati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, attraverso l’azione dello Spirito santo» (cfr. 2Cor 3,18)

ENZO BIANCHI

II Domingo de Páscoa

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de ENZO BIANCHI
«Jesús Cristo ressuscitou dos mortos, como primícias dos que morreram… é o primogénito de entre aqueles que resuscitam dos mortos» (1Cor 15,20; Col 1,18): sabemos bem que este anúncio- o anúncio Pascal, é o específico do Cristianismo, o débito de esperança que nós, Cristãos, temos para com todos os Homens.

Anno A
Gv 20,19-31

«Gesù Cristo è risorto dai morti, primizia tra quelli che sono morti … è il primogenito di quelli che risuscitano dai morti» (1Cor 15,20; Col 1,18): sappiamo bene che questo annuncio, l’annuncio pasquale, è lo specifico del cristianesimo, il debito di speranza che noi cristiani abbiamo verso tutti gli uomini. Conosciamo però altrettanto bene le nostre resistenze profonde a credere a questo annuncio inaudito; di più, quanto fatichiamo a credere alla resurrezione di Gesù Cristo quale pegno e caparra della nostra resurrezione…

Queste resistenze sono le stesse sperimentate dai discepoli che hanno vissuto con Gesù, come ci mostra il vangelo di questa ottava di Pasqua, tradizionalmente conosciuta come «domenica di Tommaso». Tommaso ci rappresenta tutti e, nel contempo, ci indica un itinerario per giungere a credere nel Risorto, che sempre dice al nostro cuore: «Non essere incredulo, ma credente!». Egli non è insieme alla comunità quando Gesù viene, sta in mezzo ad essa come Signore che raduna i figli di Dio dispersi e lascia gesti e parole che riassumono l’intera sua vita. Il Signore mostra le ferite del suo corpo, segni indelebili della sua passione, dell’amore da lui vissuto «fino all’estremo». Poi consegna ai discepoli la pace, cioè lo shalom, la vita piena e abbondante, e accompagna questo dono con l’annuncio di un invio che è una precisa responsabilità: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi», ossia: «Come io ho narrato il Padre, ora spetta a voi narrare me». Infine il Risorto ricrea i discepoli con lo Spirito santo, forza nella quale rimette i loro peccati; e subito aggiunge che questo suo dono estremo non è loro possesso esclusivo, ma è dato affinché nella potenza dello Spirito essi rimettano i peccati a tutti gli uomini.


A tutto questo Tommaso non è presente, così come non lo è stato nessuno dei lettori del vangelo. Egli considera una follia, «un vaneggiamento» (Lc 24,11) le parole dei suoi fratelli: vuole un rapporto diretto con il Signore, vuole una prova tangibile della sua resurrezione. Dal suo atteggiamento nasce per noi la domanda seria: sappiamo vivere la nostra fede pasquale nella comunità cristiana? Ovvero, siamo consapevoli che il Risorto si manifesta primariamente nel suo radunare la comunità cristiana nel giorno di domenica, per donarle sempre e di nuovo tutta la sua vita? Così è avvenuto per Tommaso: «otto giorni dopo», dunque già nel ritmo liturgico del giorno del Signore, Gesù si manifesta quando la comunità è riunita; ed è in questo essere convocato con gli altri «nello stesso» (1Cor 11,20), termine che indica non tanto il luogo ma l’unità data da Gesù Cristo stesso, che Tommaso lo incontra quale Risorto e Vivente.

Egli ha bisogno di vedere ma non di toccare le ferite di Cristo: quando infatti il Risorto lo precede e smaschera con misericordia la sua debolezza, Tommaso, vistosi amato persino nella sua incredulità, fa cadere le sue difese e formula una straordinaria confessione di fede: «Mio Signore e mio Dio!». E a lui Gesù riserva la sua ultima beatitudine, di cui anche noi siamo destinatari: «Beati quelli che crederanno senza avere visto». Sì, siamo chiamati a vivere la beatitudine di chi «vede» Gesù con gli occhi della comunità cristiana, riunita nel giorno del Signore e in ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Sante Scritture, Parola di cui il vangelo è il centro, Parola che è Gesù Cristo.

A questo punto può dunque concludersi il vangelo, segno scritto tramandato «affinché crediamo che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e così abbiamo la vita nel suo Nome». Questa è la fede della chiesa, la fede che noi siamo chiamati a vivere nella chiesa; è la fede che può darci vita ogni giorno, fino al giorno della nostra Pasqua, del nostro passaggio da questo mondo al Padre di Cristo e Padre nostro, il quale ci donerà la vita eterna nel suo Regno.

Enzo Bianchi

Gesù, Dio-con-noi compimento delle Scritture
Commento al Vangelo festivo - Anno A
© 2010 San Paolo Edizione

Páscoa de Ressurreição

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de ENZO BIANCHI
Celebramos hoje a Páscoa, festa das festas, fundamento da fé cristã. Neste dia somos chamados a anunciar com alegria a todos os Homens a vitória da vida sobre a morte, porque Jesús, o Messias, ressuscitou e vive para sempre: Aquele que se fez homem como nós, Aquele que morreu de morte cruel e foi sepultado, ressuscitou dos mortos, como primícias de todos nós (cf. 1Cor 15,20; Col 1,18), chamados a Ele e com Ele à Vida Eterna!

Anno A
Gv 20,1-9

Celebriamo oggi la Pasqua, festa delle feste, fondamento della fede cristiana. In questo giorno siamo chiamati ad annunciare con gioia a tutti gli uomini la vittoria della vita sulla morte, perché Gesù il Messia è risorto ed è vivente per sempre: colui che è stato uomo come noi, colui che è morto di morte violenta ed è stato sepolto, è risorto dai morti, primizia di noi tutti (cf. 1Cor 15,20; Col 1,18), chiamati in lui e con lui alla vita eterna! Sì, Gesù è stato risuscitato da Dio in risposta alla vita che aveva vissuto, al suo modo di vivere nell’amore fino all’estremo: così ci ha aperto una strada da percorrere qui sulla terra e poi nell’aldilà della morte, una strada che niente e nessuno potrà mai chiudere…

Ma ascoltiamo il racconto della resurrezione di Gesù secondo l’ottica «altra» del quarto vangelo. Il testo si apre con un’espressione strana, che suona letteralmente: «nell’uno della settimana». L’autore sta parafrasando il libro della Genesi, dove il primo giorno della creazione è chiamato «giorno uno» (Gen 1,5). In questo modo egli vuole dirci che la resurrezione di Gesù è il compimento della prima creazione, è la nuova creazione: lo Spirito santo che aveva covato la vita sulle acque primordiali ora presiede alla resurrezione di Gesù, l’evento che dà inizio al giorno senza tramonto, alla vita eterna dischiusa a tutti gli uomini e a tutta la creazione.

In quel giorno uno, quando ancora è notte, la notte iniziata con il tradimento di Giuda (cf. Gv 13,30), Maria di Magdala si reca al sepolcro. Il suo cuore è avvolto dalla tenebra della disperazione e della non-fede, perché non ha ancora compreso il compimento che è avvenuto nella morte di Gesù, non riesce a credere alla resurrezione di cui certamente il suo Maestro le aveva parlato. Maria non va per ungere il cadavere, come ci dicono gli altri vangeli, ma semplicemente perché non riesce a distaccarsi da quel Gesù che aveva seguito e amato. Era stata una donna peccatrice, abitata da sette demoni (cf. Lc 8,2), ma nell’incontro con Gesù era rifiorita come nuova creatura: egli si era preso cura di lei, aveva messo in lei la fiducia nella possibilità della conversione, di una vita nuova, ed ora lei si prende cura di Gesù, abbandonato da tutti…


 

Ma una novità inaudita l’attende: «Vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro». Spaventata e stupita da questa visione, Maria si affretta a correre da Pietro e dal discepolo amato per annunciare loro la propria interpretazione della tomba vuota: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Qui termina la prima parte della sua vicenda – la ritroveremo poco oltre nei pressi della tomba, e allora il Risorto le si rivelerà chiamandola per nome (cf. Gv 20,11-18) – e comincia quella dei due discepoli. Essi corrono insieme, ma il discepolo amato corre più veloce di Pietro e giunge per primo a destinazione. Egli però riconosce la precedenza di Pietro e non entra nel sepolcro, ma attende che sopraggiunga anche Pietro e che sia lui a entrare per primo: uno arriva per primo al sepolcro a causa dell’amore di cui è amato, l’altro vi entra per primo a causa dell’elezione a «Roccia» della comunità cristiana da parte del Signore.

Pietro però, pur «vedendo le bende per terra e il sudario piegato in un luogo a parte», non comprende nella fede l’evento straordinario della resurrezione di Gesù e, per il momento, rimane nelle tenebre dell’incredulità. Per il discepolo amato, invece, le cose stanno diversamente: «entrò anche l’altro discepolo … e vide e credette». Cosa ha visto? Nessun oggetto in particolare, è l’assenza stessa che, interpretata dall’amore, rivela al suo cuore una Presenza. Nell’amore che lo lega a Gesù, il discepolo amato fa spazio in sé alla buona notizia per eccellenza, che anche Pietro proclamerà in seguito: «Dio ha risuscitato Gesù, sciogliendolo dalle angosce della morte» (At 2,24)! Sì, la fede pasquale nasce dall’amore: solo l’amore per Gesù permette di comprendere in profondità la Parola di Dio contenuta nelle Scritture e di discernere, a partire da una tomba vuota, che «Cristo è risorto secondo le Scritture» (1Cor 15,4).
È così che, secondo le parole di un antico padre della chiesa, «colui che conosce il mistero della resurrezione, giunge a conoscere lo scopo per cui Dio nell’in-principio creò ogni cosa».

Enzo Bianchi

Gesù, Dio-con-noi compimento delle Scritture
Commento al Vangelo festivo - Anno A
© 2010 San Paolo Edizione