Vecchiaia
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di ENZO BIANCHI
Arrivare a dire "grazie'' per il passato e "sì'' al futuro significa compiere un'operazione spirituale veramente essenziale
"Io individuo quattro motivi per cui la vecchiaia sembra triste: primo, perché allontana dall'attività; secondo perché indebolisce il corpo; terzo, perché nega quasi tutti i piaceri; quarto, perché non dista molto dalla morte''. A questo giudizio di Cicerone (De senectute), oggi noi potremmo aggiungere un ulteriore motivo che rende penosa la vecchiaia. Ed è questo: l'era della tecnica ha spiazzato e reso fuori luogo l'adagio che legava vecchiaia e sapienza e vedeva nell'anziano il depositario di una memoria, di un'esperienza che lo rendeva elemento fondamentale nel gruppo sociale. La "sapienza dell'anziano'' pare relitto di un passato ormai remoto oppure ancora presente in civiltà non toccate dal progresso tecnologico e informatico che ci paiono ancora più distanti. L'anziano, nel contesto di una società che esalta la produttività, l'efficienza e la funzionalità, si trova emarginato, reso superfluo, inutile, e spesso egli stesso "si sente di peso'' ai familiari e alla società. In simile contesto la vecchiaia appare come un passaggio faticoso da una condizione in cui si è definiti dal lavoro o dal ruolo sociale, a una sorta di zona morta di pura negatività, la "pensione'', un limbo in cui si è definiti da ciò che non si è più e non si fa più.