Le sfumature del gusto
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Il gusto esige di introdurre dentro di sé una particella del mondo. Suoni, odori e immagini hanno origine fuori di noi, mentre il sapore si sprigiona in noi. Il gusto compare in noi, nella nostra bocca, nel momento in cui si mescola con la nostra carne e vi lascia una traccia sensibile. Vi è un rapporto stretto fra gusto e interiorità. E questa è la base antropologica di tanti usi culturali e religiosi di ingestione di cibi, anche di carne umana, che vengono assimilati, interiorizzati, divenendo parte costitutiva di colui che mangia. La sostanza mangiata si transustanzia nel mangiante, ne accresce la potenza, ne opera una trasformazione. Vi faccio notare come il materialistico "l'uomo è ciò che mangia" (Feurbach) si affianca stranamente al teologico metabolismo eucaristico che consiste in questo: una volta che io ho mangiato il pane, corpo di Cristo e ho bevuto il vino, sangue di Cristo, io sono trasformato nel Corpo e nel Sangue di Cristo a tal punto che "non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me" (cf. Gal 2,20). Sant'Agostino afferma: "Se vuoi comprendere [il mistero] del corpo di Cristo, ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: 'Voi siete il corpo di Cristo e sue membra' (1 Cor 12, 27). Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi" (Discorso 272).
Come gli altri sensi anche il gusto è un’emanazione dell’intero corpo ed è radicato nella storia personale di ciascuno, ma esso è un senso della differenziazione, che deve cioè discernere buono e cattivo, dolce e amaro, salato e acido, ecc. In Occidente, infatti, i sapori base sono quattro (salato, dolce, acido, amaro), ma in realtà “il numero dei sapori è infinito”1 e certamente nella storia umana vi sono dei cibi scomparsi e così anche dei sapori. Il gusto non deve solo discernere ciò che è commestibile o no, ma anche la qualità, le sfumature del sapore. Il gusto, inoltre, è sempre totalmente coinvolto nella percezione: la sensazione gustativa è una forma di conoscenza e un’affettività all’opera.
Ora, la funzione prima del gusto è quella di permettere all’uomo di distinguere il buono dal cattivo, ciò che si può mangiare o ciò che si deve rigettare. In materia di alimentazione il giudizio di valore non è facoltativo, ma è necessario perché ne va della vita o della morte di colui che mangia. La distinzione di buono e cattivo insita nel gusto nella sua dimensione fisiologica e biologica apre il discorso verso una distinzione che si pone sul piano dei valori e che attiene la sfera più propriamente etica. In ogni caso, studi specialistici mostrano che il gusto, dunque il mangiare, ha un’influenza determinante nel processo di formazione della persona umana.
1 A. Brillat-Savarin, Fisiologia del gusto, ovvero, Meditazioni di gastronomia trascendente, La Biblioteca Ideale Tascabile, Milano 1996, p. 48.