La Famiglia - Silvia Vegetti Finzi
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Senza la mobilitazione morale del desiderio di chi intende diventare padre e madre, nessuna legge sarà mai in grado di mettere ordine nella vita sequestrata ai corpi e ai destini. In questo senso la maternità, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, rappresenta nella sua forma ideale un paradigma esemplare: ci mostra infatti che è possibile limitare l'onnipotenza inconscia, porre freno all'egoismo proprietario dell'io e del mio. Inizialmente la madre ha un possesso assoluto del figlio. Da lei dipende non solo il corpo ma anche la mente del bambino. Il suo dominio non conosce eguali perchè, contrariamente allo schiavo di fronte al padrone, al servo dinnanzi al signore , al prigioniero alla mercè del suo aguzzino, il neonato non può neppure pensarsi separato dalla madre.
Eppure la simbiosi originaria progressivamente si schiude al riconoscimento che il figlio è un altro, diverso da come lei l'aveva sognato e cresciuto. La maternità, che tendiamo a considerare solo come una forma di possesso, si apre invece, anche grazie alla funzione socializzante del padre, all'accettazione dell' autonomia e dell'indipendenza del figlio, all'ammissione che la vita che gli è stata data non appartiene a chi lo ha generato.
Con la modernità la dimensione della maternità ha assunto confini sempre più individualistici e privatisti. Ormai l'essere madre, generare un figlio non è più un fatto collettivo ma un'incombenza che grava quasi esclusivamente sul nucleo famigliare ristretto o spesso solo la donna. Spesso si sente dire che la gravidanza ormai passa “come niente fosse”, come fosse un tempo che non ha per la futura madre, niente di diverso dagli altri; continua il lavoro e le altre attività, ma questo non permette di preparare il grembo “psichico”, ma solo quello fisico. Il figlio è l'ospite che è sempre altro da quello che si è immaginato e per questo ogni figlio va adottato, tutti siamo figli adottivi, e tutti tramite questa adozione abbiamo ereditato la certezza di essere unici e non ripetibili. Ci vuole disponibilità per accogliere un figlio, e fare passare la gravidanza sotto silenzio non è il mondo migliore per prepararsi ad avere un figlio. Non siamo solo soggetti sociali e produttivi ma anche soggetti psicologici. La maternità ha inoltre bisogno di silenzio, l'accoglienza e la disponibilità si preparano nel silenzio, nella riflessione e nella concentrazione. Come dice Simone Weil: “Abbiamo bisogno di attenzione, l'attenzione è il dono più grande che ci possa essere dato”.
Silvia Vegetti Finzi propone un excursus attraverso l'efficacia dei simboli per riscoprire ciò che abbiamo perso: quelle dimensioni che abbiamo dimenticato e che sono da sempre, prima del tempo, quelle forze telluriche che permettono di uscire dalla logica stretta del calcolo e degli interessi egoistici e che aprono e permettono la vita e la generazione. E' necessario riprendere il giusto contatto con la natura con i suoi ritmi e le sue stagioni, oggi si pensa che sia qualche cosa che non ci riguarda e che quindi possiamo sfruttare per i nostri interessi. Per questo bisogna riflettere sul rapporto dell'umanità con il limite che ormai sembra non esserci più: a quale punto ci fermeremo? Questa mancanza del limite ci angoscia ma non sappiamo gestirla. La filiazione dovrebbe essere sottratta al calcolo delle convenienze e alle ingerenze della tecnica. Il desiderio di un figlio viene da lontano e non è certo governato dall'interesse. C'è una spinta che non è solo individuale e viene da lontano. Ci vogliono tre volontà: quella della madre, quella del padre e quella del bambino che vuole venire al mondo. E' un compito che la coppia esegue. Bisogna saper vivere nell'ordine dell'obbedienza non solo quello del calcolo. Quello che conta non si conta.
Sintesi della giornata di Sofia Bianchi