Oltre il banco


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Foto di Mathew Schwartz su Unsplash
Foto di Mathew Schwartz su Unsplash

17 febbraio 2024

Lc 5,27-32

In quel tempo 27Gesù uscì e vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». 28Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.
29Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C'era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola. 30I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 31Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; 32io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano»


La quaresima evoca nel nostro immaginario collettivo atmosfere cupe, rinunce tetre, volti tristi e malinconici. In realtà è un tempo luminosissimo e lo viviamo come occasione in cui affidare la nostra umanità ferita e ammalata alle cure del Medico sapiente.

La terapia di Gesù sta in uno sguardo e in una parola: “Seguimi”. Il suo vedere è una radiografia del nostro intimo. Gesù, senza giudizio alcuno, legge le profondità dell’uomo che prima di tutto ha un volto e un nome: Levi. “Seduto al banco delle imposte”: avrebbe potuto ammazzarlo come tante volte fa il nostro sguardo di disprezzo, di diniego. Ma Gesù va oltre quel banco degli imputati, e rovescia quel banco: Levi non è il peccatore da condannare, ma un uomo, asservito al potere e al denaro sì, da riscattare, da liberare. La conversione avrà per lui il sapore della libertà, il profumo di una vita appena sfornata.

Gesù non si scandalizza delle nostre povertà e delle nostre nefandezze. Il suo parlare è scarno ma esigente e mette in moto i cuori più ingolfati. In mezzo c’è tanto non detto, c’è il silenzio della prossimità e della delicatezza, dell’amore e della tenerezza. Il suo insegnamento è medicina spirituale che ci riconcilia con le nostre debolezze, le nostre fragilità, i nostri peccati, le nostre angosce, le nostre depressioni, i nostri complessi. Tutte spine graffianti che ci paralizzano. 

Gesù non è il mago che con la bacchetta magica risolve tutto, lui è il medico che sperimenta sulla sua pelle le nostre infermità e dà sollievo, ci incoraggia con il suo perdono e la sua inesauribile misericordia e ci chiede di restare disponibili alla grazia di Dio e a meravigliarci della gratuità del suo amore sempre preveniente, mai giudicante. 

Levi ha sperimentato tutto questo. Nelle poche battute del testo c’è l’immensità di una vita che rinasce. L’esplosione della gioia e il suo banchetto, “un grande banchetto”, per Gesù e quelli del suo giro, ritenuti pubblici peccatori, lo dimostra chiaramente. “Mangiamo e facciamo festa” (Lc 15,23). Era un uomo morto ed è tornato in vita, un perduto ed è stato ritrovato. E Gesù non fugge dagli sguardi feroci e ostili dei farisei e dei loro scribi. È a suo agio in mezzo a peccatori che si riconoscono tali e sono desiderosi di guarire. Il medico si mette sullo stesso piano del malato. Ma non c’è spazio di guarigione per i “sani”, i presunti giusti, arroccati su un piano superiore.

Lo sguardo di Gesù ha messo a nudo Levi, ha sciolto le sue resistenze. La sua parola ha attivato le sue potenzialità latenti: Levi lascia tutto, abbandona finalmente quel lavoro disonorevole e umiliante, e pieno della gioia pasquale si alza da quel banco, da quella tomba in cui è stato risucchiato dal dio denaro e dalla sua coorte. 

Levi ha deposto le armi, ha estinto la sete di ricchezze, ha neutralizzato la sua smania di potere e pacificamente e umilmente si è abbandonato all’amore di quel medico che viene da Dio, che non promette niente, se non la libertà. Gesù ci raggiunge nei nostri banchi, là dove giaciamo perduti, ci rialza e ci converte.

fratel Giandomenico


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