Dire il male
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16 marzo 2024
Mc 11,12-19
In quel tempo12mentre uscivano da Betània, Gesù ebbe fame. 13Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. 14Rivolto all'albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli l'udirono.
La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le nazioni?
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
18Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. 19Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città.
Che cosa significa male-dire? Augurare il male a qualcuno, oppure dire il male, denunciarlo, chiamare male il male? Sappiamo, certo, che non si deve male-dire nessuno: “Benedite e non male-dite” (Rm 12,14); e, specialmente, che non si deve ricambiare il male con il male: “benedite coloro che vi male-dicono” (Lc 6,28). Ciò nondimeno anche Gesù era un uomo, e anche a lui accadeva di essere affamato. La fame, di solito, ci rende impazienti, aggressivi.
Sapeva anche lui, senza ombra di dubbio, che i fichi non maturano a Pasqua, che non era quella la stagione dei frutti. Ma si è indignato contro quest’albero di fichi che aveva tante foglie, che si mostrava bello e maestoso, ma privo di frutti. Istintivamente, senza premeditarlo, si è messo a fare un’azione simbolica, un gesto plateale di rottura come fanno i profeti. Questa era un’azione già scritta nel Libro: “Non c’è più uva sulla vite né fichi sul fico” (Ger 8,13), per dire tutta la nostra infecondità, la nostra desolazione, la nostra incapacità di cambiamento.
Il fico, come la vite, è un simbolo profetico del popolo di Dio: d’Israele, della chiesa, ma anche di ciascuno di noi che ne siamo membra. Per ciascuno di noi si danno situazioni infruttuose, di morte, di aridità. Bisogna che ne prendiamo coscienza, saperle chiamare con il loro nome: sapere che sono un male, una sterilità senza possibilità di facile rimedio. I profeti, esagerando, male-dicono addirittura il giorno della propria nascita: “Male-detto il giorno in cui nacqui, il giorno in cui mia madre mi diede alla luce non sia mai bene-detto” (Ger 20,14).
Gesù non augura il male, ma se ne indigna; non solo ne prende atto, ma lo denuncia senza mezzi termini. Volendo, potremmo anche notare una piccola differenza tra i due Sinottici che ci raccontano questo episodio: “Da te non venga mai più frutto in eterno!” (Mt 21,19); “Mai più in eterno nessuno mangi frutto da te!” (Mc 11,14). Non è proprio la stessa cosa. Fatto sta che immantinente o la mattina dopo, il fico è seccato fin dalle sue radici: è diventato sterile.
Male-dizione può essere dunque anche un atto violento. È quella violenza che si esprime, subito dopo, nella cacciata dei mercanti dal tempio, nel rovesciare i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe, in quella che noi chiamiamo, eufemisticamente, “purificazione del tempio”, ma che in realtà è proprio un gesto rivoluzionario.
Questi due episodi, la male-dizione del fico e la polemica contro il tempio, sono evangelicamente collegati, dicono qual è il male: denunciano la corruzione e la fine di un’epoca, di un’economia, quella legata ai sacrifici, per inaugurare un altro tempo, un’altra possibilità di salvezza ancora ignota, ancora tutta da inventare e per il momento ancora nascosta agli occhi degli uomini.
Questa “santa violenza” è la violenza dei pacifici, cioè di chi ha il coraggio di denunciare il male perché personalmente non ha più paura. Non ha paura delle conseguenze personali che la denuncia del male gli potrebbe causare, delle contraddizioni che potrebbe patire, perché sa correre il rischio della sconfitta, è disposto a perdere anche la vita.
fratel Alberto
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