Una contestazione radicale
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25 marzo 2024
Mc 11,12-25
In quel tempo 12mentre uscivano da Betània, Gesù ebbe fame. 13Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. 14Rivolto all'albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli l'udirono.
La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le nazioni?
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
18Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. 19Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città.
Siamo all’inizio della Settimana Santa e leggiamo una pagina del Vangelo secondo Marco in cui da un lato Gesù maledice una pianta e compie dei gesti violenti nel cortile del Tempio, dall’altro c’è l’unico insegnamento di Gesù sulla preghiera in questo vangelo che collega il pregare al perdono. Questo ci turba, perché il fico non ha colpa, se non ha ancora frutti. Non è il tempo in cui si raccolgono i fichi. Gesù sembra in preda alla collera.
Forse è “semplicemente” teso perché intuisce quel che potrà succedergli, ha paura, perde il controllo di sé e – come noi – scatta di rabbia con chi non c’entra come il fico e anziché, come altrove, ricorrere al dialogo e all’ascolto sbotta, come chi non ne può più, in un’azione inconsulta, che più che una purificazione del tempio e un ristabilimento del vero culto (nei vangeli non si dice mai di Gesù che faccia un sacrificio) è una radicale contestazione della logica sacrificale che domina il sistema religioso di cui il tempio è espressione.
Il Dio di Gesù non vuole sacrifici. La passione e morte di Gesù non sono un sacrificio a Dio, per placarne l’ira davanti a un’umanità irrimediabilmente peccatrice, quel legno storto che non si vuole raddrizzare e che varrebbe la pena di bruciare piuttosto di perdere tempo con lui, o per pagare un prezzo di riscatto non si capisce bene a chi... due disumanità (il peccato e il sacrificio) non fanno un’umanità. Dio non desidera sangue animale o umano sia realmente sia simbolicamente. Oggi come ieri. Gesù non offre il suo corpo in sacrificio per noi, ma depone liberamente e per amore la sua vita. Entrando negli ultimi giorni della sua vita con tale tensione Gesù manifesta la libertà e il dialogo interiore con cui va incontro alla morte.
Tentando di vivere alla presenza del Padre la violenza che si sta per scatenare contro di sé, egli annuncia l’essere di Dio con noi qui, nelle tenebre del dolore e della morte, nell’abisso dell’abbandono. Il grido sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”, è un lamento di derelizione che si fa preghiera. È un voler restare attaccati a Dio, quando egli sembra distaccato da noi. È custodire in sé un posto per lui, come quella traccia di luce che ci rimanda oltre noi, quando il buio si fa fitto e si chiude su di noi. È salvare un pezzetto di Dio in noi. Ecco, essere custode in sé di un frammento di luce, quando la tenebra ci assale.
Perciò persino il sentimento dell’abbandono che si fa preghiera dice paradossalmente la presenza di Dio, non il trionfo dell’oscurità, anche se sotto la croce la soldataglia sghignazza spartendosi gli stracci del condannato, i capi politici e religiosi lo deridono vedendo il fallimento del suo Dio, la folla ammutolita e incolpevole complice osserva lo spettacolo. Appunto: se due disumanità non fanno un’umanità, custodire in sé l’umanità salva dell'insensatezza e può partorire umanità per altri, come racconteranno fra non pochi giorni gli annunci della resurrezione.
fratel Davide
Ascolta la settima traccia di preghiera per la Quaresima