Settanta volte sette


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Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)
Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)

22 agosto 2024

Mt 18,21-35

In quel tempo, 21Pietro si avvicinò aGesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa». 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: «Restituisci quello che devi!». 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò». 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».


Il Vangelo odierno ci parla del perdono tra fratelli, un perdono che non conosce limiti o, meglio, che non accetta di essere limitato dalla debolezza del fratello: è il mio peccato, non quello del fratello, che può contraddire il perdono cristiano. La dinamica del perdono si arresta solo a causa della mia incapacità a perdonare e non a causa della reiterazione della colpa di un fratello contro di me. Nel racconto di Matteo, poi, non si menziona nemmeno la precondizione che il fratello colpevole debba chiedere perdono: il Vangelo ci parla semplicemente di colpe commesse e di un perdono da concedere settanta volte sette.

Per svelare il volto di Dio celato dietro questo perdono sempre rinnovato, Gesù ci presenta questa parabola del co-servitore spietato. Il racconto rende iperbolico il paragone tra la colpa che ci è stata rimessa e i debiti che dobbiamo rimettere: siamo nell’ordine di centocinquantamila anni di lavoro contro quindici settimane. Questa sproporzione ci situa al momento decisivo del racconto: il nostro debito incolmabile verso Dio è già stato condonato dalla passione-morte-resurrezione di Cristo – attualizzata per noi nel battesimo – e noi entriamo in scena all’uscita da questo incredibile perdono ricevuto. Ed ecco che incontriamo un compagno, un servitore come noi, un fratello per il quale Cristo è morto (cf. 1Cor 8,11) rimettendo anche a lui un debito immenso. È qui che si situa la posta in gioco del perdono che dobbiamo scambiarci reciprocamente.

Mi chiedo se questo Vangelo non abbia una parola anche in merito al cammino di riconciliazione e di unità tra le nostre chiese e nelle nostre comunità. Di fronte alla salvezza universale portata da Cristo, è ancora lecito contabilizzare le colpe e i debiti che abbiamo accumulato nei confronti dei nostri fratelli, delle nostre chiese sorelle? Se Dio ci ha perdonato la colpa di aver lacerato l’unità del suo Corpo, come possono le nostre comunità continuare a rifiutarsi reciprocamente il perdono per le colpe commesse le une contro le altre? Questo non significa negare gli errori e le ferite inferte ai fratelli e alle sorelle nella fede: il co-servitore era realmente debitore di cento denari… Ma il Vangelo non ci chiede di negare l’esistenza del debito, di non vedere la colpa, di ignorare i peccati commessi. No, il Vangelo ci chiede di rimettere il debito, di perdonare il fratello. Non è un caso che il servitore malvagio si scateni contro il compagno “non appena uscito” dalla casa del Signore: si tratta allora di rientrare alla presenza di Colui che ha rimesso i peccati, di rientrare nella dimensione del perdono che è la dimensione del nostro unico Signore. 

Allora riconoscersi Chiesa di Cristo, suo Corpo, significa riconoscersi perdonati e, per ciò stesso, riconoscersi chiamati al medesimo perdono senza limiti. Se noi cristiani saremo capaci di questo gesto che va al di là di ogni calcolo e risentimento umano, personale e comunitario, allora potremo annunciare insieme a tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle in umanità la buona notizia della riconciliazione tra Dio e l’umanità, riconciliazione operata una volta per tutte in Cristo Gesù.

fratel Guido