Timore di Dio


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Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)
Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)

16 settembre 2024

Lc 7,1-10

In quel tempo 1 quando Gesù ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafàrnao. 2Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l'aveva molto caro. 3Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. 4Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede - dicevano -, 5perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». 6Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; 7per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di' una parola e il mio servo sarà guarito. 8Anch'io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: «Va'!», ed egli va; e a un altro: «Vieni!», ed egli viene; e al mio servo: «Fa' questo!», ed egli lo fa». 9All'udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». 10E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.


Leggendo uno dei primi tre vangeli − avendo in mano una sinossi che li possa confrontare − le più importanti osservazioni che possiamo fare nascono proprio da questo semplice confronto. La cosiddetta “questione sinottica” è stata molto complicata dagli esegeti con il ricorso a una cosiddetta fonte (Q), che è puramente ipotetica, ma in realtà non è un problema, perché la soluzione è molto semplice: Matteo riscrive Marco, e Luca dipende da entrambi. 

Leggendo il racconto del “servo”, o “figlio” (pais, in greco, vuol dire “ragazzo”) del centurione romano, si tratta quindi di osservare come Lc 7,1-10 abbia riscritto Mt 8,5-13. E due sono le considerazioni più importanti: come Luca precisa la figura di questo centurione e come eviti la conclusione matteana che molti verranno da oriente e occidente per sedersi a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i “figli del regno” saranno cacciati fuori (cf. Mt 8,11-12).

Il centurione, secondo Luca, pur essendo il capo militare di una potenza di occupazione, non è un pagano. Non è lui che prende l’iniziativa di rivolgersi a Gesù, ma lo fa per interposta persona, mandandogli degli “anziani dei giudei” (v. 3) con cui lui era evidentemente in buone relazioni, e che infatti possono raccomandarlo come “persona degna”, oggi diremmo come “persona grata”, poiché “ama la nostra nazione”, cioè ama Israele, tant’è vero che lui stesso “ci ha edificato la sinagoga” (cf. vv. 4-5), la famosa sinagoga di Cafarnao così spesso frequentata anche da Gesù.

Sia o non sia attendibile quest’ultima informazione (il centurione forse non l’aveva costruita, ma doveva averne almeno procurato i fondi) Luca non poteva precisare più esplicitamente di così che quest’uomo, un gentile, in realtà era un “timorato di Dio” (tecnicamente un foboumenos), cioè un uomo che, pur non essendo ebreo, e magari neppure un convertito all’ebraismo tramite la circoncisione, tuttavia riconosceva e adorava profondamente il Dio di Israele.

Questa sottolineatura molto esplicita significa, per Luca, che, quando Gesù registra che “neppure in Israele ho trovato una simile fede” (v. 9), non sta soltanto lodando la fede di un pagano in lui, ma la fede di qualcuno che, come dicono i rabbini, “si era rifugiato sotto le ali della Shekhinà”, ossia aveva già riconosciuto e confessato anche il Dio degli ebrei. Non è la stessa cosa, perché noi spesso, leggendo la versione di Matteo, potremmo indebitamente pensare il contrario, cioè pensare che la fede in Gesù ci dispensi quasi dal credere nel Dio dell’Antico Testamento.

Questo ci conduce alla seconda operazione effettuata da Luca rispetto a Matteo, cioè il fatto che omette questa parola così dura che i “figli del regno”, ossia gli ebrei, siano esclusi dal banchetto escatologico nel regno dei cieli, insieme ai patriarchi. Infatti, questo non vuol dire che gli ebrei abbiano perso il loro statuto di popolo eletto, come pensano ancora oggi molti cristiani, ma che molti altri lo hanno acquisito, e quelli più inaspettati, provenienti anche dalle genti e dai nemici, come il centurione romano. A condizione di avere il timore di Dio, cioè di riconoscere, grazie a Gesù, anche il Dio di Israele.

fratel Alberto