Pronti nell’attesa
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22 ottobre 2024
Dal Vangelo secondo Luca - Lc 12,35-38 (Lezionario di Bose)
In quel tempo Gesù disse:" 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!
Questo brano, fin dall’inizio, pone il problema sul significato dell’attesa: “siate simili a quelli che aspettano il padrone”; ma anche “rimanendo pronti, con le lampade accese, con le vesti strette ai fianchi”.
Questo versetto rimanda al testo dell’Esodo 12,11 dove si parla dell’agnello pasquale che gli ebrei devono mangiare nella notte dell’uscita dall’Egitto e lo devono mangiare con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano: “lo mangerete in fretta “.
Tutto ciò porta ad immaginare un ossimoro tra l’attesa e la fretta, tra un tempo di riflessione e il cogliere la palla al balzo nella vita, applicare un tutto e subito nelle decisioni da prendere. In effetti non sempre attendere è saggio.
Ci sono momenti nella vita dove la troppa attesa fa perdere le occasioni di crescita. Ci vuole, di conseguenza, una prontezza a rispondere al “momento ora”, di fronte al quale non si può procrastinare e qui l’esercizio del tutto e subito è la saggia concretizzazione del desiderio di non lasciarsi scappare la vita. C’è da sottolineare, però, che il versante positivo del valore del tutto e subito consiste nel suo retroterra, fatto di attrazione verso un bene anziché di pretesa a ottenere il soddisfacimento dei propri impulsi; infatti, il non riflettere, l’incapacità di attendere prima di agire o agire sotto la spinta di un bisogno e non perché attratti da un valore, costituiscono a lungo andare, la base per il rinnegamento difensivo della propria responsabilità personale.
C’è anche una modalità diversa di venir meno all’attesa del Signore. Nell’episodio di Lc 10,38-42 Marta accoglie, fa il gesto grande dell’ospitalità, potremmo dire che è come un servo che rimane pronto e sveglio davanti all’attesa del padrone però si dimentica quasi di chi ha in casa e fa tutto da sé. Stabilisce e decide come il Signore dovrebbe intervenire a risolvere i suoi problemi: è il protagonismo che si impadronisce del proprio servizio. Marta non sarà rimproverata dal Signore per il servizio che fa ma per come lo fa, per il suo protagonismo, per la pretesa di imporre la propria volontà.
Un grande autore monastico, Giovanni Climaco, vede in questo comportamento un effetto dell’acedia. Scrive:
L’acedia suggerisce di accogliere gli ospiti e costringe a compiere lavori manuali per poter fare elemosine. Esorta con ardore a visitare i malati, ricordando la parola di colui che ha detto: “Ero malato e siete venuti a visitarmi” (Mt 25,36). Suggerisce di recarsi da coloro che sono abbattuti e scoraggiati, dicendo: “Confortate i pusillanimi” (1Ts 5,14), proprio lei, la pusillanime! Quando siamo in preghiera ci fa venire in mente qualche dovere urgente, e mette in moto ogni espediente per trascinarci via di là, con buone ragioni, come con una cavezza, proprio lei così irragionevole.”
Non vi è niente di male nel lavorare per fare l’elemosina, nel visitare gli ammalati o nel consolare chi è scoraggiato, ma gli antichi padri ci avvertono che tutto questo può essere compiuto non con amore gratuito, ma per il soddisfacimento personale.
fratel Paolo