Come egli stesso non lo sa


Warning: Invalid argument supplied for foreach() in /home/monast59/public_html/templates/yoo_moustache/styles/bose-home/layouts/article.php on line 44

Foto di Vlogger Dark su Unsplash
Foto di Vlogger Dark su Unsplash

1 marzo 2025

Dal Vangelo secondo Marco - Mc 4,26-29 (Lezionario di Bose)

In quel tempo Gesù disse 26: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».


In questa breve parabola del seme gettato nel terreno Gesù ci parla del regno di Dio come una realtà concreta, legata alla terra, alle sue leggi, alla dimensione dell’attesa e della pazienza. Il regno di Dio non è qualcosa di spirituale, etereo, separato dalla vita reale di ogni giorno. Non è neanche qualcosa di grandioso e altisonante, non viene in maniera da attirare l’attenzione (cf. Lc 17,20); il regno di Dio è un piccolo seme gettato nella terra.

Ma in questo gesto antico c’è molto di più, c’è un atteggiamento, una dimensione di rinuncia, di svuotamento, di spossessamento che ci mette in crisi in quanto esseri umani, in quanto cristiani, in quanto co-abitanti di questa terra.

La mano che getta il seme rinuncia alla presa, al possesso, a stringere il seme nel palmo impedendogli di germogliare. Seminare significa rinunciare a possedere, a controllare la crescita del seme. Se il seminatore andasse tutti i giorni a controllare che il seme cresca, gli impedirebbe di fatto di germogliare. Seminare è un atto di fiducia e speranza nel futuro per chi viene dopo di noi. La crescita del seme che cade nella terra non dipende più da noi. Non abbiamo il potere di decidere come il seme debba germogliare e crescere.

“Come egli stesso non lo sa”. Questa affermazione centrale nella nostra breve parabola ci rivela una dimensione importante della fede, la capacità di accogliere nella gratuità ciò che ci è donato, ciò per cui non abbiamo lavorato. Ma accogliere il dono significa accettare che questo possa non corrispondere alle nostre attese.

Il seme che germoglia e cresce porta un frutto sempre nuovo, sempre diverso e questa alterità consente alla vita, all’umanità, alla chiesa di andare avanti. Il regno di Dio che siamo chiamati ad annunciare non è un nido di certezze da proteggere a tutti i costi, non è la ripetizione di modelli comodi in cui possiamo sentirci a nostro agio. Il regno di Dio è cammino, è dinamica, è tensione verso una novità da cercare sempre nel confronto e nell’incontro con l’altro, con la diversità delle culture e delle generazioni. Ciò che non muta è il Signore Gesù, il seme della sua parola continua a germogliare e crescere in terreni diversi e il frutto che porta è un frutto di novità che traduce nell’oggi l’antica e immutabile verità: l’amore di Dio per ogni essere vivente.

Dobbiamo chiederci se siamo capaci di accettare che il seme germogli e cresca per azione dello Spirito santo, non sotto il nostro controllo e soprattutto non secondo le nostre aspettative.

Siamo capaci di ascoltare le domande e gli interrogativi delle nuove generazioni, che desiderano accogliere il seme della parola, ma lo fanno con linguaggi e sensibilità diverse? 

Siamo capaci di rendere grazie per il tempo della mietitura, perché possiamo raccogliere insieme ciò che spontaneamente il terreno ha donato, anche quando questo frutto non è quello che ci saremmo aspettati né quello che avremmo desiderato?

Siamo capaci di custodire fede e fiducia nell’azione dello Spirito, che ci conduce sempre verso acque profonde, sempre verso terre lontane e inesplorate, sempre verso l’umano, verso l’altro che è grazia e dono il cui incontro ci permette di andare avanti con fiducia e speranza rinnovate?

fratel Nimal