Scisma, prove di dialogo - La Repubblica - 2 settembre 2019
di Alberto Melloni
Da mercoledì 4 settembre a venerdì 6 si terrà presso il monastero di Bose (Magnano, Biella) un convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa intitolato "Chiamati alla vita di Cristo". L'evento è aperto a tutti. Aprirà le giornate di discussione il fondatore Enzo Bianchi. Il programma dettagliato sul sito del monastero www.monasterodibose.it
Lo scisma fra le chiese è il lento aprirsi di un abisso. Ha un lato dal quale si scende giù nella tragedia e nello scandalo di cristiani che si accusano secondo stilemi imperituri, noiosi e dunque diabolici. E poi ha un lato da cui si risale verso l'unità, arrampicandosi su pareti impossibili, fra le rocce taglienti dei torti e delle ragioni, fidando solo della grazia. L'ortodossia oggi vive nell'abisso dello scisma fra Mosca (che ha cancellato unilateralmente il nome del patriarca ecumenico dai dittici) e Costantinopoli. Poco ne cale a tanti, ma è la cosa più grave capitata al cristianesimo in mille anni.
Adombrato nella incomprensibile decisione russa di disertare il concilio di Creta del 2016, sottovalutato dall'indecisione di Putin che proprio per la configurazione politico-spirituale della sua chiesa avrebbe avuto il dovere d'impedirlo, incendiato dalla decisione di Costantinopoli di dare un esarcato indipendente all'Ucraina, accelerato dall'incontro fra Kyrill (patriarca di Mosca) e Bartholomeos (Costantinopoli) di un anno fa - quello che c'è oggi è lo scisma.
Che riverbera su tutti, incluso il Papa, che non ha piena comunione con l'ortodossia, ma è animato da un ardore di unità che ha portato al punto massimo la fraternità con Bartholomeos e ha permesso gesti audaci come l'incontro con il patriarca Kyrill nell'esotico contesto di Cuba, e che oggi nella disgrazia ha un supplemento di responsabilità ecumenica.
Negli ultimi decenni la comunione s'è rotta altre volte a Oriente. Capitò nel 1996 per la chiesa Estone, ed ancora oggi Antiochia e Gerusalemme sono in conflitto. Ma qui non è una battaglia di giurisdizioni. E una spaccatura che attraversa aree piene di bombe atomiche e di storia; che mette in discussione la fisionomia dell'ortodossia, che non può essere disegnata contando i fedeli, i soldi e le armi benedette (in russo e in ucraino).
La ineguagliabile testimonianza resa dall'Oriente ortodosso, sfiorato dal potere o soggetta alla turcocrazia e alla sovietocrazia, è stata quella di mostrare a tutte le chiese il primato della vita spirituale. Nutrita di sola liturgia, alimentata solo di patristica, priva di progresso teologico, ma per questo capace di offrire quella densità di vita interiore senza il quale il cristianesimo diventa fervorino, devozionalismo integrista, ideologia morbosa della rigidità: il tutto spacciato per "dottrina".
E questo tesoro spirituale che lo scisma rende inattingibile. Risalire l'abisso tragico della divisione richiede una fatica in capo ai protagonisti dello scisma, si sentano colpevoli e innocenti. Gli altri cristiani possono favorire questo cammino solo se lo hanno già iniziato prima.
Ed è in questa condizione il monastero di Bose che da 27 anni organizza un convegno di spiritualità ortodossa dove russi e greci si possono incontrare. Anche quello del 2019 (dal 4 al 6 settembre) rispetta la struttura creata da Enzo Bianchi: un focus che esclude la storia e privilegia la riflessione patristica affidata ad autorità ecclesiastiche, a teologi e a monaci. Il tema di quest'anno è la "Chiamati alla vita in Cristo": e dunque la vocazione monastica, coniugale perfino accademica. Ma è la vocazione delle chiese il superamento della divisione - questione che costituisce l'origine e il cuore di Bose -il vero nodo. Percepire lo scisma come scandalo, intuire il nesso fra la disunione cristiana il male che flagella uomini e cose, rinunciare alla ipocrisia che scambia la cortesia per unità: questo è il frutto della chiamata con cui i "servi inutili" preparano una comunione che, fosse anche l'ultimo giorno, verrà e che con la sua attesa muove la storia.