David - È vero dono?
Entra in scena, a partire dal capitolo 16 del Primo libro di Samuele, David, il più grande dei re di Israele, celebrato in tutti i tempi per forza, intelligenza, generosità, vena poetica, ma ricordato anche per le sue cadute e le sue colpe. La figura di David sarà importante anche per la storia cristiana: Giuseppe infatti – lo sposo di Maria e padre di Gesù secondo la Legge – discende dalla famiglia di David.
La narrazione biblica lo presenta come pastore, come musico, in seguito come abile guerriero, ma soprattutto come “il più piccolo della famiglia di Iesse”, a dimostrazione del capovolgimento, che il Dio di Israele opera, di quelli che nella storia umana sono comunemente considerati “valori”.
Parallelo all’ascesa di David è il declino del re Saul che, tradita per avidità personale l’alleanza con il Signore, sarà invaso da uno “spirito cattivo”, in preda ad attacchi di tristezza e di gelosia omicida nei confronti del giovane David.
Il racconto di quella che possiamo definire “l’elezione” di David inizia con una parola che il Signore rivolge a Samuele, la cui storia abbiamo riletto a marzo. Mentre Samuele, ormai vecchio, sta piangendo per la sorte di Saul, il Signore gli domanda: “Fino a quando piangerai ... ? Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse di Betlemme, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re” (1Sam 16,1). Cessare il pianto e partire sono, dunque, le esortazioni che il Signore rivolge a Samuele, e che preparano l’elezione di David e la sua unzione a nuovo re.
David è l’ultimo di otto fratelli, l’unico che il padre non si prende nemmeno la briga di presentare a Samuele, quando questi arriva a Betlemme, e tutti gli anziani della città gli si fanno incontro trepidanti per sapere se il suo arrivo sia o no di buon augurio. Samuele invita tutti a prendere parte con lui a un rito di purificazione, prima del sacrificio di una giovenca (cf. 1Sam 16,5). In questo quadro, che rende evidente la non rilevanza del “più piccolo della famiglia di Iesse”, l’elezione di David appare come puro dono. Il giovane non ha nulla da vantare: né diritti di primogenitura, né prestanza fisica, né particolari doti intellettuali. Lui trascorre le giornate a pascolare il gregge. E, mentre è con le pecore, Samuele, uno che dicevano profeta del Signore, lo fa chiamare, perché “non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui” (1Sam 16,11). Giunto David, “Samuele prese il corno dell’olio e lo consacrò con l’unzione in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore si posò su David da quel giorno in poi” (1Sam 16,13).
Una possibile interpretazione dell’elezione di David è quella del dono: pur non avendo nessun diritto o qualità da far valere, la scelta cade su David. Il dono è vero dono quando “spareggia” i conti, quando è impari, quando è gesto assolutamente rivoluzionario e creativo, quando nessuno se l’aspetta, meno di tutti chi lo riceve. Il dono non vincola, il dono vero è impossibile da ripagare, e apre inedite possibilità: perché quando uno si sente scelto e amato per nessun altro motivo che la propria nuda alterità, precisamente qui comincia la vita. In questo spazio di amore donato, ciascuno ha la possibilità di cogliere il senso della propria esistenza: sentirsi amati e, piano piano, mettere a fuoco la propria capacità e il proprio desiderio di amare, che è ciò che conta più di ogni altra cosa. In mezzo, un ventaglio di strade tutte differenti.
Che sia impegnarsi nella musica, suonare e far divertire; oppure trasferirsi in Svezia a lavorare per Ikea dopo aver fatto lettere classiche; essere medico, sposarsi e fare figli; insegnare; studiare beni culturali; aprire uno studio legale; laurearsi in fisioterapia, comprare un’auto e percorrere sessanta chilometri al giorno per andare a lavorare...: ciascuno percorra pure il suo, di cammino. L’importante è custodire la consapevolezza profonda che siamo stati creati per amore e, a immagine e somiglianza di chi ci ha creati, siamo resi capaci di amare. Quale sia il vertice dell’amore ce lo suggerisce il vangelo di Giovanni, riferendo queste parole di Gesù: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).