Perché ha molto amato
Una donna, probabilmente una giovane donna, definita da Luca come “una peccatrice di quella città” (Lc 7,37), viene a sapere che Gesù è ospite a pranzo a casa del fariseo Simone. Si procura un vasetto di alabastro pieno di profumo e si reca al banchetto, che possiamo immaginare composto di soli uomini, legati da ruoli e interessi comuni, probabilmente farisei come Simone.
Con audacia lei entra, si rannicchia ai piedi di Gesù e, piangendo, li bagna di lacrime, li asciuga con i capelli, li bacia e li cosparge di profumo.
Alla vista di questi gesti di intimità, Simone non osa dire niente ma pensa: “Se Gesù fosse un profeta, saprebbe che genere di donna è quella che lo tocca: è una peccatrice!” (Lc 7,39). La scena appare a Simone come una grave offesa alla legge e alle norme di purità in essa elencate.
Gesù allora, che conosce i pensieri dei cuori (cf. Gv 2,24-25), si rivolge a Simone e gli racconta una breve parabola: “Un creditore aveva due debitori. Uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro lo amerà di più?”. Simone risponde: “Suppongo quello al quale ha condonato di più”.
La risposta che Simone dà è giusta e Gesù, voltandosi verso la donna, prosegue: “Vedi questa donna?”. Quella che Simone aveva tacciato come “peccatrice”, Gesù la indica semplicemente come “donna”. Quindi Gesù istituisce un confronto tra i due, che in ultima istanza si riassume così: Simone “ama poco”, la donna “ha molto amato”. Eppure, la donna non ha fatto assolutamente niente che possa apparire “utile”. Non ha invitato Gesù a casa sua, non ha preparato il pranzo (semmai si è “imbucata”, diremmo noi), non ha apparecchiato la tavola, sicuramente non avrà riordinato e pulito dopo. Però, osserva Gesù, “ha molto amato”, e questa è la differenza decisiva con Simone, perché: “Sono entrato nella tua casa, e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi … Tu non mi hai dato un bacio … Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato”. Cose che invece la donna ha fatto in abbondanza: “Lei mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli … Lei da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi … Lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato” (Lc 7,44-47).
Cosa può dire a una giovane, a un giovane oggi il racconto che ha come protagonista la donna perdonata da Gesù? Un primo aspetto che si può notare è la bontà delle manifestazioni e delle espressioni dell’amore, che non conviene affrettarsi a giudicare. Questa donna, giudicata da Simone secondo il suo peccato, e anche per i gesti che compie, è reintegrata nella piena dignità dallo sguardo di Gesù, che conosce bene il suo peccato e insieme conosce bene la sua fede e il suo amore: “Va’ in pace”, è la risposta positiva di Gesù a questo amore accolto e riconosciuto, una pace “non come la dà il mondo” (Gv 14,27), ma una pace profonda e stabile.
Una seconda riflessione suscitata dalla lettura di questo episodio è che, qualunque peccato uno abbia commesso, qualsiasi sia la colpa o le colpe che gravano sul cuore di una persona, non c’è da temere o rattristarsi, perché è possibile sempre rivolgersi a chi ha il potere di perdonare i peccati: il Signore Gesù.
Concretamente, nella vita di tutti i giorni, noi donne e uomini del xxi secolo, come possiamo vivere ciò che ha vissuto la donna del racconto di Luca? Forse ci basterebbe non temere di amare le persone che ci sono accanto, a volte anche un po’ “sbilanciandoci”, rischiando magari di apparire importuni o di essere fraintesi. Infatti si impara per tentativi, e se qualche volta sbagliamo, pazienza! Ciò che è importante è non farsi frenare da pensieri timorosi (1Gv 4,18: “Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore”!), per arrivare a fare esperienza nella nostra quotidianità delle parole di Gesù: “La tua fede ti ha salvata: va’ in pace”. Infatti è solo provando, sbagliando e provando ancora che si affina la percezione, davanti al volto dell’altro, dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, di come si ama. E, davanti al volto dell’altro, si affina anche la percezione del proprio peccato, quindi del bisogno e del desiderio di essere perdonati. Per arrivare a comprendere, fatta ancora un po’ di strada, che questo perdono ci è sempre donato, nella piena gratuità. Ed è un perdono vero, che non vincola, anzi sprona a reimmettersi nel flusso della vita: “Va’ in pace” (Lc 7,50). Ed è un perdono che dà tanta più gioia quanto più si è acquisita la consapevolezza che lo desideriamo con tutto il cuore, perché da esso dipende la vita.
I fratelli e le sorelle di Bose