Un comandamento che è vita
21 giugno 2024
Gv 12,47-50
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:" 47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell'ultimo giorno. 49Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. 50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
Dopo una settimana in cui abbiamo meditato testi evangelici relativi alla preghiera, questa settimana, la nostra meditazione è stata orientata verso testi sull’azione: mettere in pratica le parole del Signore – “Ora et labora!” dunque. Non è regola solo dei monaci, ma di ogni credente. La preghiera non va senza l’azione, ma anche l’azione, nonostante la sua importanza, è veramente piena se è sostenuta da quell’abbandono al Signore e fiducia in Lui che la preghiera esprime.
A metà del secolo scorso, il padre Paul Couturier, presbitero di Lyon che si è fatto conoscere per la sua passione per l’unità visibile dei cristiani, lanciava l’idea di un “monastero invisibile” che sarebbe costituito da semplici cristiani di tutte le terre, implicati in una preghiera per l’unità ogni giovedì – giorno cioè in cui il Cristo istituì il sacramento dell’unità, l’eucaristia –. Non si trattava solo di pregare per l’unità, ma anche di essere animati dalla passione per l’unità, dal desiderio di farsi strumenti dell’esaudimento della preghiera di Gesù: “Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi uno in noi” (Gv 17,21).
In questa prospettiva, l’evangelo odierno diventa particolarmente significativo. Dice Gesù: “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva … la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno” (v. 47 e 48). Chi non è convinto che la parola di Gesù sull’unità dei cristiani sia un imperativo categorico rischia la propria salvezza. Benché sia dono di Dio, l’unità non verrà dai vertici – cioè dai capi delle chiese –, ma dal popolo di Dio che non è preoccupato dalle sottigliezze dogmatiche e dalle loro mille interpretazioni, ma dalla propria vita eterna. Ora, dice Gesù, “il comandamento di Dio è vita eterna” (v. 50). In questo comandamento, che è vita, sta anche il “siano uno come noi”.
Che occorra ricordare qui la risposta di Pietro e dei discepoli alle autorità religiose del loro tempo che contestavano la loro fede e il loro agire? Sì, ricordiamola e facciamola nostra: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29).
Cinque anni fa, un gruppo di teologi italiani, cattolici e protestanti, giunse a questa conclusione: “Sulla base del consenso liberamente e fraternamente raggiunto riteniamo che sia possibile ad ogni persona cristiana battezzata, in obbedienza alla propria coscienza e rimanendo in piena solidarietà con la propria chiesa, essere accolti come graditi ospiti in ogni mensa cristiana in cui si celebri la Cena del Signore” (Dal periodico on line ‘Ospitalità Eucaristica’, giugno 2019).
Il “consenso fraternamente raggiunto” riconosce in particolare che il Signore è presente e presiede ogni eucaristia, e che né Gesù né gli apostoli hanno spiegato esattamente il significato da dare alle parole pronunciate: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue dell’alleanza” (Mc 14,22 e 24), né chiarito il modo della presenza del Signore. Queste parole – mistero, fonte di vita – sono da ritenere vere, non da spiegare!
fratel Daniel