La tristezza del possedere
26 agosto 2024
Mt 19,16-22
In quel tempo, 16 un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». 17Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, 19onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». 20Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». 21Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». 22Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze.
Colpisce, nell’episodio dell’incontro tra un giovane in ricerca e Gesù, il rapporto che viene stabilito fra tristezza e ricchezza: “il giovane se ne andò triste, possedeva infatti molte ricchezze” (Mt 19,22).
In che cosa consiste quella tristezza? Anzitutto la ricchezza non ha appagato la sete di felicità del giovane, visto che non ha spento la sua sete di ulteriorità e la sua ricerca che lo porta a rivolgersi a Gesù esprimendo un desiderio spirituale alto (v. 16). La tristezza esprime la contraddizione tra la ricerca e ciò che gli viene chiesto, evidenziando il potere di assoggettamento che il denaro e i beni hanno su di lui. La tristezza esprime lo scacco del suo desiderio. Egli cercava futuro ma poi torna indietro, se ne va (v. 22), come ritornando al passato da cui cercava di emanciparsi. La tristezza è nell’occlusione del futuro.
La tristezza poi risiede nell’aver preferito la sicurezza garantita dalle ricchezze all’incertezza della relazione. Gesù gli offre di seguirlo, di condividere la sua avventura umana, ma egli non riesce a compiere il salto. Possiamo anche intuire che in questo giovane la paura ha avuto la meglio sul rischio, sull’affrontare il nuovo. E la paura richiude nella tristezza. Forse, nel giovane c’è anche delusione di sé stesso. La proposta di Gesù: “lascia i tuoi possedimenti, dona i tuoi beni ai poveri, seguimi”, svelano al giovane che lui non è monodimensionale, ma molteplice, non è definito solo dalle sue ricchezze, ma può scegliere chi essere. Gesù gli prospetta delle alternative rispetto al modo di vivere che ha condotto fino a quel momento. La tristezza è anche nel non saper scegliere, nel non aver avuto il coraggio della libertà, che sempre si manifesta compiendo delle scelte.
La redazione matteana del racconto presenta due peculiarità nel confronto sinottico con Marco: l’aggiunta, tra i comandamenti, dell’espressione “amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19,19), e poi la parola di Gesù “se vuoi essere perfetto” (v. 21). La tristezza qui si tinge del colore cupo del rifiuto di condividere, di essere solidale: infatti, quell’amarel’altro come se stesso è poi specificato con il vendere i benie dare ilricavato ai poveri. Più si ha, meno si condivide. O, come scrisse Marx: “Meno si è e meno si esprime la propria vita, più si ha e più è alienata la propria vita”. Inoltre Matteo sottolinea la tristezza di chi rifiuta la crescita, la maturazione, il salto in avanti: “essere perfetto” significa anzitutto maturare, crescere, non tanto pervenire a una perfezione di tipo morale.
Con le parole di Giovanni Paolo II possiamo allargare a livello sociale la dimensione di infelicità e tristezza che nel testo evangelico è ristretta a un individuo: “L’uomo delle società consumistiche è schiavo del possesso e del godimento immediato, senza altro orizzonte che la moltiplicazione o la continua sostituzione delle cose che già si posseggono con altre più perfette. Tutti noi tocchiamo con mano i tristi effetti di questa cieca sottomissione: una radicale insoddisfazione: quanto più si possiede tanto più si brama, mentre le aspirazioni più profonde restano insoddisfatte e forse anche soffocate” (Sollicitudo rei socialis 28).
fratel Luciano