Il sigillo dell’agire di Dio
10 aprile 2020
Venerdì santo
Gv 18,1-19,37
di Luciano Manicardi
1 Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c'era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. 2Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. 3Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. 4Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». 5Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. 6Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. 7Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». 8Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», 9perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». 10Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 11Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».
12Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono 13e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno. 14Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».
15Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. 16Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. 17E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest'uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». 18Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.
19Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. 20Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. 21Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». 22Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». 23Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». 24Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.
25Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». 26Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». 27Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.
28Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 29Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest'uomo?». 30Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato». 31Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». 32Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.
33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?».
E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. 39Vi è tra voi l'usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». 40Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.
1 Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. 2E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. 3Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.
4Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». 5Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!».
6Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». 7Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».
8All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. 9Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. 10Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». 11Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».
12Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». 13Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. 14Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». 15Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». 16aAllora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
16bEssi presero Gesù 17ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, 18dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù in mezzo. 19Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». 20Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. 21I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: «Il re dei Giudei», ma: «Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei»». 22Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».
23I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti - una per ciascun soldato - e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. 24Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice:
Si sono divisi tra loro le mie vesti
e sulla mia tunica hanno gettato la sorte.
E i soldati fecero così.
25Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. 26Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». 27Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé.
28Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». 29Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30Dopo aver preso l'aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
31Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. 32Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all'uno e all'altro che erano stati crocifissi insieme con lui. 33Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. 35Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. 36Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. 37E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.
Fratelli, sorelle,
il profeta Zaccaria in un’audace visione fa dire a Dio stesso che gli abitanti di Gerusalemme, “in quel giorno”, giorno escatologico, “volgeranno lo sguardo a me, che essi hanno trafitto” (Zc 12,10). La nostra contemplazione oggi si volge al Cristo che, nella sua passione e crocifissione, narra direttamente la gloria, la presenza di Dio stesso e vivifica la morte facendone l’atto di un vivente, un gesto di donazione, di consegna dello Spirito. Un evento di vergogna e infamia quale è la croce diviene evento di gloria e di luce: per Giovanni ciò che compie questa trasformazione è l’agape, l’amore. Quell’amore che già umanamente ha insita in sé la dinamica del perdere che è un donare, del morire che è un dare vita. Ora, tutta la vita di Gesù, fino al gesto della lavanda dei piedi che ieri abbiamo contemplato, è mettere in atto questa morte vitale che dà senso alla nostra vita mortale. In ogni atto di amore autentico vi è un dinamismo di perdita di sé per ritrovarsi nell’altro, vi è il mistero di una perdita e abbandono di sé per riceversi nuovamente grazie all’altro. La dinamica di morte e resurrezione è insita nell’amare. Ed è sigillo dell’agire del Dio che è amore (cf. 1Gv 4,16).
E noi oggi vogliamo semplicemente contemplare qualche frammento, qualche aspetto particolare della manifestazione di questo amore che possiamo cogliere nell’agire e nel parlare di Gesù durante la sua passione. Questo amore va colto anzitutto nella sua fonte, nella sua origine, nella sua scaturigine, cioè all’interno della coscienza di Gesù, del suo sapere, della sua fede, una consapevolezza di fede che abbraccia l’intero racconto della passione che inizia nel giardino al di là del torrente Cedron, quando Gesù sapeva “tutto quello che doveva accadergli” (Gv 18,4) e termina sulla croce quando si dice che Gesù sapeva che “tutto ormai era compiuto” (Gv 19,28). Un sapere che è frutto di assiduità con il Padre, di amore per il Padre, di faticosa preghiera, di discernimento, di tempo passato in solitudine nel faccia a faccia con sé e con Dio. Ed è proprio questo che Gesù fa, ora che, terminati i suoi discorsi ai discepoli, esce all’aperto e se ne va nel luogo ove era solito ritirarsi in preghiera. Luca sottolinea questa abitudine di Gesù che si intensifica all’approssimarsi degli eventi della passione: “Durante il giorno Gesù insegnava nel tempio, di notte, usciva e pernottava all’aperto sul monte detto degli Olivi” (Lc 21,37). È questo lavoro interiore che ha portato Gesù a non subire la passione, ma ad assumerla liberamente, tanto che è lui stesso che comanda gli eventi, li affronta con serenità, con forza, con signoria. Il tempo del turbamento, dello sconvolgimento è ormai passato. Lo sguardo che Gesù porta sugli eventi non è più dominato, filtrato, dalle figure degli avversari, dei nemici, del traditore, dei soldati, e dunque non è più oscurato dall’amarezza e dalla paura, ma è dominato dallo sguardo del Padre, è sguardo di fede interiorizzato. Che fa vedere la stessa e identica realtà da un tutt’altro punto di vista. E in questo sguardo vi è la radice interiore della libertà di Gesù. È Gesù stesso che interroga i soldati che nella notte giungono per cercarlo e arrestarlo e la sua risposta “Sono io” è talmente potente, sicura, non vacillante, profonda, che ha la forza dell’“Io sono” divino. La volontà di Dio è coincidente con la sua. La presenza di Dio ha preso dimora in Gesù così che quando Gesù parla, parla la parola di Dio, quando Gesù agisce, compie le opere del Padre, e chi vede Gesù, vede il Padre e ancora, come ha da poco detto Gesù a Filippo: “Il Padre è in me” (Gv 14,10). Il suo io è l’io di Dio. Tanto che davanti a lui i soldati e Giuda con loro, retrocedono, vacillano e cadono, come davanti a una manifestazione divina. Gesù dunque non si sottrae a chi lo vuole arrestare, non sfugge, non protesta, non cerca di difendersi, non contrattacca di fronte all’evidente ingiustizia, ma quasi si consegna da sé.
E pronuncia una parola su cui spesso non si riflette, ma che dice molto di ciò che lo abita, del suo amore: “Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano” (Gv 18,8). Il suo pensiero è per i suoi discepoli, per la loro incolumità, perché non succeda loro niente di male. Gesù, anche in questo frangente così critico per la sua vita, ha il pensiero rivolto non a sé, ma ai suoi, si preoccupa di loro, assume la sua responsabilità per loro fino alla fine. Gesù è il buon pastore che conosce e ama le sue pecore, che le protegge, le mette al sicuro. Coloro che sono con lui non sono sua proprietà, ma sono il dono che il Padre gli ha dato ed egli veglia perché nessuno di loro vada perduto (cf. Gv 17,12), perché nessuno sia strappato dalla sua mano (Gv 10,28). In Giovanni non si parla della fuga e dell’abbandono di Gesù da parte dei discepoli, ma della protezione e della custodia che Gesù attua nella sua sollecitudine per loro. E di fronte a Pietro che sguaina la spada e colpisce il servo del sommo sacerdote, subito Gesù si oppone in modo reciso alla violenza e gli intima di deporre le armi. La pratica dell’amore che Gesù vive non sopporta di essere difesa dalla violenza. E Gesù disarma i suoi. La violenza sconfessa l’agape.
Più avanti, Gesù viene interrogato dal sommo sacerdote sul suo insegnamento. E la risposta che Gesù dà contiene anzitutto l’affermazione che egli ha sempre parlato con parresía. Non nascostamente, ma apertamente, davanti a tanti che dunque possono essere ascoltati come testimoni di ciò che lui ha insegnato. Ma mentre dice che ha sempre parlato con parresía Gesù sta ancora parlando con parresía, tanto che questa parola provoca la violenza del soldato che lo schiaffeggia rimproverandolo. Ma cos’è parlare con parresía? Come parlava Gesù? Come traduceva in parola il suo amore? La parresía è un discorso che ha un rapporto diretto con la verità, è un parlar vero, un rifiuto della menzogna, della distorsione della realtà, della falsificazione. Quindi è un discorso che ha un rapporto stretto con la vita di colui che parla mettendo a rischio tale vita. Il parlare di Gesù l’ha portato a rischiare la propria vita, e poi a perdere la propria vita. Parla con parresía chi è nelle parole che dice. E lì la parresía esprime l’autorevolezza. La parresía è poi anche una parola critica, come quella dei profeti, che vede e denuncia il male anche se questo provocherà conseguenze anche gravi. Le parole che Gesù rivolge al sommo sacerdote sono intese dal soldato che lo percuote come offesa. Sta scritto infatti: “Tu non insulterai un responsabile del tuo popolo” (Es 22,27). Ma il parlare di Gesù qui si mostra anche nella dimensione di apertura. Egli si rivolge direttamente al soldato che lo ha picchiato e ricambia la violenza con una parola semplice e diretta, personale. Anzitutto offre il dialogo, che è sempre l’antidoto alla violenza: “Dimostrami dov’è, se c’è, il male, nelle parole che io ho detto”. Quindi pone una domanda: Altrimenti, “perché mi percuoti”? L’amore è coraggioso e intelligente e il parlare di Gesù è ormai ispirato a tale amore che lo rende libero, autorevole, aperto. E che lascia non solo quel soldato, ma soprattutto noi con una domanda sul perché della nostra violenza.
E infine, sulla croce Gesù, “sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: ‘Ho sete’” (Gv 19,28). La coscienza che tutto è compiuto non spegne la sete, non inibisce il desiderio di Gesù. Anzi, Gesù esprime il suo desiderio che tutto sia veramente compiuto. Cosa manca al compimento quando tutto ormai è compiuto? Cos’è quel compimento della Scrittura? Deve verificarsi ciò che Gesù aveva preannunciato: “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: ‘Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno’. Questo disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui. Infatti, non c’era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato” (Gv 7, 37-39). Dietro la sete fisica del crocifisso, si cela la sete radicale e obbedienziale di bere il calice che il Padre gli ha dato. Non è forse ciò che ha detto a Pietro rimproverandolo? “Non dovrò forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (Gv 18,11). La sete di Gesù, il suo desiderio, è la donazione radicale della sua vita, è che si compia il suo tragitto esistenziale per divenire lui stesso la fonte d’acqua da cui ognuno può dissetarsi. Perché solo allora l’amore è compiuto per sempre e per tutti. Chiedendo da bere, quale pellegrino assetato e stanco, alla donna di Samaria, Gesù le aveva promesso l’acqua che lui solo poteva darle e aveva acceso in lei il desiderio di quest’acqua. Ora, dichiarando la sua sete e proclamando “È compiuto”, Gesù adempie a un tempo la promessa e il desiderio e diviene lui stesso la fonte d’acqua viva: “Chinato il capo, consegnò lo Spirito” (Gv 19,30) e “Dal suo fianco uscì sangue e acqua” (Gv 19,34). La sete di Gesù è divenire lui stesso ciò dal cui desiderio è consumato. Divorato dallo zelo per la casa del Padre suo, egli diviene il tempio dalle molte dimore universalmente accogliente; mosso dalla fame di mangiare il cibo “che voi non conoscete” (Gv 4,32) come disse ai discepoli, il cibo che è “fare la volontà del Padre” (Gv 4,34), Gesù diviene lui stesso il pane che si offre per la vita del mondo. Questo il mistero dell’amore. Il desiderio di Dio è il desiderio di Gesù. E nello Spirito effuso, diviene il nostro desiderio, il desiderio dello Spirito in noi.