Nelle acque della miseria umana

Foto di William Warby su Unsplash
Foto di William Warby su Unsplash

7 gennaio 2024

Mc 1,7-11
Battesimo di N.S. Gesù Cristo
di Sabino Chialà

In quel tempo Giovanni 7 proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

9Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».


Nella domenica che segue l’Epifania la chiesa celebra il Battesimo del Signore come un’ulteriore manifestazione del Dio fattosi uomo. Dopo la rivelazione alle genti, rappresentate dai sapienti giunti a Betlemme dall’Oriente, il Messia Gesù si manifesta ai poveri e ai peccatori, presso le acque del Giordano, mentre riceve la duplice testimonianza di Giovanni il Battista, che lo immerge in basso nell’acqua, e del Padre che lo conferma facendo discendere la sua voce dall’alto.

Nella narrazione di Marco questo episodio è narrato in modo essenziale: a differenza degli altri due Sinottici, il vangelo più antico non riporta alcuna esortazione del Battista alle folle in vista della loro conversione; le uniche parole da lui pronunciate sono quelle con cui indica la venuta di Gesù, il “più forte” di lui (v. 7) e il battesimo “in Spirito Santo” che questi avrebbe amministrato (v. 8). Non vi è neppure alcun dialogo tra il Battista e Gesù: nessuno schernirsi da parte di Giovanni; tutto avviene nel più grande silenzio, in un’atmosfera di mutuo riconoscimento e di reciproca obbedienza. Una discrezione, questa, che aiuta il lettore a concentrarsi sulle immagini.

La prima è quella di Gesù che viene, anche lui, “da Nazaret di Galilea” fino al Giordano per essere battezzato da Giovanni” (v. 9). Ecco la prima apparizione di Gesù, la sua entrata in scena, l’inizio del suo ministero e l’inaugurazione della sua predicazione. Non una parola da parte di questo rabbi, né un’apparizione spettacolare. Viene semplicemente, mescolandosi a quella folla che accorre a Giovanni con il peso dei propri peccati e il suo desiderio di rinascita attraverso un battesimo di rigenerazione. Non una parola di spiegazione sul fatto che Gesù non aveva bisogno di quell’immersione, come gli altri due Sinottici si premurano di sottolineare.

Il gesto qui è primario e su di esso deve concentrarsi l’attenzione del lettore: Gesù inizia il suo ministero scendendo nelle acque della miseria umana, in silenzio. La salvezza inizia qui, in quella che possiamo considerare un’anticipazione della discesa agli inferi che Gesù porterà a compimento nel suo esodo pasquale. Il suo primo incontro con l’umanità ferita avviene nel silenzio della compassione: mentre accorrono da Giovanni uomini e donne per deporre il peso dei propri peccati, Gesù è lì, tra loro, ignoto ancora, ma già efficace.

Vi è silenzio anche tra lui e Giovanni. Marco annota semplicemente: “Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni” (v. 9). Nessuna parola di schernimento da parte del Battista o di dichiarazione della sua inferiorità. Tutto avviene in una naturalezza che poco più tardi sembrerà irriverente, e suggerirà l’aggiunta di parole. Qui vi sono invece solo due uomini, Giovanni e Gesù, che s’incontrano, obbedendo ciascuno alla propria vocazione e i cui gesti sono talmente eloquenti da non avere bisogno di parole. La tradizione iconografica, soprattutto bizantina, ce ne consegna un’esegesi eloquente: Gesù immerso nell'acqua e Giovanni curvato su di lui.

Sigillo a tutto questo è la parola che scende dall’alto. Mentre Gesù risale da quell’abbassamento, dall’alto gli vengono incontro lo Spirito e la voce del Padre: “E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento’” (v. 10-11). Si tratta di un momento teofanico, di rivelazione divina. Marco infatti dice che il cielo “si squarciò”, impiegando lo stesso verbo che riutilizzerà al momento della morte di Gesù per dire che “il velo del tempio si squarciò” (Mc 15,38).

Ma è anche un momento di investitura messianica, come suggerisce l’eco dei testi scritturistici che si ode in questa scena: alcuni passi di Isaia che parlano della discesa dello Spirito sul Messia o sul Profeta servo del Signore (cf. Is 11,2 e 61,1); il Salmo secondo, dove si parla del Figlio generato da Dio (cf. Sal 2,7); e in modo ancora più significativo Is 42,1 dove abbiamo una sintesi delle due prospettive: “Ecco il mio servo (termine che nel greco della LXX è tradotto con páis, che significa anche “figlio”) che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui”.

La voce dal cielo riconosce e presenta l’uomo Gesù di Nazaret come il Figlio amato, in cui risiede il compiacimento divino, vale a dire una perfetta corrispondenza di sentire. Ed è significativo che questo avvenga proprio mentre Gesù si fa solidale con i peccatori. Nel momento in cui riemerge dalle acque, proprio lì, egli è riconosciuto come Figlio ed è visitato dallo Spirito Santo. Il Messia riceve la sua investitura non attorniato da una corte regale, ma tra folle di peccatori. L'instaurazione del regno messianico inizia con questa discesa che si fa silenziosa condivisione.


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