Lavoro e povertà

Fratello, sorella, la tua povertà secondo l’Evangelo significa condividere i beni e vivere nel massimo provvisorio consentito per seguire Cristo nella sua spogliazione e nel suo abbassamento, e diventare conforme a lui che da ricco si fece povero tra gli uomini. Inoltre povertà sarà per te spogliazione quotidiana, tendente a fare di te uno dei piccoli, uno dei poveri di JHWH.

Tu vivrai la tua povertà anche sottoponendoti al lavoro, come tutti gli uomini. Tu lavorerai perché i padri e gli apostoli hanno lavorato per vivere del lavoro delle proprie mani, perché non ti è lecito farti servire dagli altri, perché il lavoro è collaborazione alla creazione in atto da parte della Sapienza di Dio, perché tu devi testimoniare la tua solidarietà con gli uomini, operando in mezzo a loro.

(Regola di Bose 21.23-24)

 

...seguirte Cristo nella sua spogliazione...
...seguirte Cristo nella sua spogliazione...
Il lavoro di ciascuno all’interno della comunità (coltivazione della terra, produzione di marmellate, falegnameria, tipografia ed edizioni Qiqajon, atelier di ceramica, redazione di commenti biblici, traduzioni, ecc.) come all’esterno della comunità (nella scuola, negli ospedali), lavoro i cui proventi sono consegnati al fratello incaricato affinché sia radicale la condivisione dei beni, consente di vivere della fatica delle proprie mani, partecipi della comune condizione degli uomini. Tutti poi fanno in comunità lavori manuali, anche quelli più umili (cucina, lavapiatti, pulizia delle case riservate all’ospitalità e degli ambienti comuni, ecc.), coscienti di servire così i fratelli e gli ospiti.  La povertà, vissuta anzitutto attraverso il lavoro, è intesa come condivisione radicale dei beni sia materiali che spirituali, come spogliazione di sé, riduzione all’essenziale delle esigenze di ciascuno, tensione a non “attaccarsi” a niente e a nessuno, in vista della semplificazione di sé per una maggiore unità interiore. Essa però non è vissuta legalisticamente e tantomeno in modo cinico, né si accompagna ad alcun genere di disprezzo delle realtà create, di cui anzi si cerca di usufruire con rendimento di grazie, accogliendo e facendo emergere la bellezza e la bontà insite nella creazione; il creato, infatti, come insegna l’apostolo Paolo, è voluto e sostenuto da Dio, e attende la liberazione per entrare anch’esso nella libertà dei figli di Dio (cf. Rm 8,21).