“Non temere piccolo gregge...”
Nei giorni dell’insperata e straordinaria visita a Bose di Sua Santità Bartholomeos I, Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico, avvenuta il 18 e 19 maggio 1997, il fondatore e priore della comunità, fr. Enzo Bianchi, non cessava di ripetere ai propri fratelli e alle proprie sorelle le parole del Signore: “Non temere, piccolo gregge, perché è piaciuto al Padre vostro darvi il suo regno” (Lc 12,32). Perché ripetere queste parole, che nel loro contesto originario sono manifestamente di consolazione, in un momento di grande gioia?
Eppure, proprio la comprensione del senso più profondo di quelle parole pronunciate da Gesù ai suoi discepoli è il modo migliore per capire cosa sia la comunità monastica di Bose, anzi, cosa sia stata fin dall’inizio e cosa continui a rimanere anche di fronte alla sua crescita in termini di consistenza e di visibilità. Se infatti Gesù promette il regno a coloro che lui stesso definisce “piccolo gregge”, con tale proclamazione egli determina anche lo statuto di ogni comunità cristiana che desideri ricevere dal Signore la vita piena del suo regno.
(Regola di Bose 12.23)
Il gregge è cresciuto di numero, e spesso la comunità non si sente all’altezza della visibilità che il segno che essa costituisce ha via via assunto negli anni. Sovente sente di essere “sovraesposta”, soprattutto nella chiesa. Essa è cosciente che per poter restare fedele alla propria chiamata e per tentare di conseguire il regno promesso, il gregge deve restare “piccolo”, cioè costantemente consapevole di non essere altro che una comunità di peccatori che ricevono il perdono nella misura in cui riconoscono il proprio peccato e la propria piccolezza. Essa sa che soltanto confidando nell’unico Pastore il gregge potrà essere condotto, tutto insieme, alla salvezza, e per questo, pur conoscendo le diffidenze, le critiche e anche le maldicenze di cui a volte è oggetto, anche da parte di amici, si interroga incessantemente non sul consenso o sul dissenso che suscita nel mondo, ma sulla qualità e sull’autenticità della propria sequela Christi
“Se siamo stati completamente uniti a Cristo con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione” (Rm 6,5), continua Paolo, e anche noi crediamo e vorremmo professare con tutta la nostra vita a ogni uomo che incontriamo, che soltanto cercando e individuando una ragione per cui valga la pena di morire ci è dato di trovare anche una ragione per vivere.