È bello per noi essere qui
6 agosto 2022
Trasfigurazione del Signore
professione monastica di Elia, GianMarco e Mónica
Omelia di fr. Sabino Chialà, priore di Bose
Dn 7,9-10.13-14 - Lc 9,28-36 – 2Pt 1,16-19
Lc 9,28-36
In quel tempo 28Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Cari fratelli e sorelle,
cari amici e ospiti,
eccoci anche quest’anno dinanzi al mistero della Trasfigurazione del Signore, nel quale la liturgia ci invita a entrare, perché come i discepoli, avvolti dalla nube luminosa, possiamo udire la voce del Padre che dice: “Questi è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo!”.
Un mistero di luce, quello che celebriamo. Luce che risplende sul volto e sulle vesti del Figlio. Segno di una gloria che gli appartiene fin dall’eternità e che ora, per un istante, affiora, rendendosi visibile ai discepoli. Una luce che Gesù conosce, che è stata la sua forza lungo il cammino spesso faticoso della sua esistenza.
Una luce fedele, benché discreta, che Gesù ha custodito in sé come segreto d’intimità tra lui e il Padre, mentre i suoi giorni gli prospettavano eventi difficili da comprendere e da accettare. Appena prima del nostro brano, egli ha annunciato l’ora della croce, sua e dei discepoli. E Luca specifica che nel dialogo che Gesù intesse con Mosè ed Elia l’argomento è ancora il suo “esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme” (v. 31).
L’essere stesso di Gesù appare qui nella sua complessità: luce eterna, racchiusa in un corpo fragile e in una storia drammatica.
Ma a ben guardare, tutta la scena descritta in questa pagina è dominata da tinte contrastanti, che emergono a più livelli, e in cui siamo invitati a rispecchiare anche le nostre storie, personali e comunitarie. Una pagina, questa, di luci e di nubi, di prossimità e di distanza, di parole alte come quelle del Padre e di reazioni insensate come quella di Pietro.
Anche l’iconografia, nel cercare di narrare visivamente la scena, ha rappresentato questo contrasto: nella parte superiore vediamo tre uomini in piedi, circonfusi di luce e di gloria, che dialogano tra loro. In quella inferiore, ancora tre uomini, ma assonnati e disorientati, due addirittura a testa in giù, mentre il terzo, Pietro, che guarda verso l’alto, ma farfugliando parole vere e maldestre allo stesso tempo.
Due riquadri distanti, ma in tensione… in cui possiamo e dobbiamo rispecchiare le nostre vicende e scorgere ciò cui siamo chiamati.
Nella prima scena osserviamo un Gesù luminoso, pacificato e in preghiera, come annota Luca. Trasfigurato in volto… cioè in quella parte del corpo con cui ogni essere umano si presenta all’altro. Mistero del volto! È la parte più nostra, che tuttavia non ci è dato di vedere, ma solo di mostrare. Del nostro volto possiamo solo fare dono, oppure negarlo... Per questo Gesù è trasfigurato in volto: perché quella luce che ora affiora non è per lui, perché se ne compiaccia: è per i discepoli, affinché vedano e ne siano consolati. Solo la luce donata è autentica! Quella che rallegra l’altro.
E poi i vestiti… Anche quelli, annota Luca, divennero candidi e sfolgoranti (v. 29). La luce che emana dall’essere nascosto di Gesù, dal suo essere uno con il Padre, è contagiosa e rende luminoso tutto ciò con cui viene in contatto. È una luce che irradia e si diffonde sul cosmo, ragione per cui i padri hanno potuto dire che la trasfigurazione qui annunciata investe tutta l’umanità e il cosmo intero: è un evento non solo cristologico e antropologico, ma anche cosmico.
Accanto a Gesù, parte della medesima scena, ci sono Mosè ed Elia, “apparsi nella gloria”, che conversano con lui “del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme” (v. 31). La Legge e i Profeti, le Scritture sante di Israele, che nutrono la preghiera di Gesù e intanto illuminano il suo cammino verso Gerusalemme.
Al di sotto, in posizione speculare, abbiamo l’altra scena. Anche qui sono rappresentati tre uomini, ma in tutt’altro atteggiamento: non luminosi, bensì “oppressi dal sonno” (v. 32); che parlano, ma non di esodo, bensì di fuga... Pietro che chiede di fermare il tempo, di restare lì, in quella visione beata. Speculare alla luce della prima scena, vi sono il sonno e lo smarrimento della seconda. Speculare alla promessa della trasfigurazione di tutto il cosmo in luce, vi è la povertà di chi fatica a comprendere. Ci siamo noi… C’è il nostro mondo disorientato e sofferente, ci sono le nostre vicende e le nostre ferite, personali e comunitarie.
Sembrerebbe che tra le due scene non vi possa essere alcun contatto: inutile illudersi! La luce è troppo alta… il sonno troppo persistente. La distanza è incolmabile! Dunque che senso può avere per noi continuare a ricordare quella luce?
Ma da quel semi-torpore, di chi si è appena svegliato e dice parole insulse, si leva una parola che apre uno squarcio. Quella parola che Pietro pronuncia senza sapere bene cosa possa significare e dove lo possa portare, ma che pure sente vera e incontenibile. Una parola che il sapore di una confessione di fede, non molto diversa da quella appena pronunciata: “Tu sei il Cristo di Dio” (v. 20). Pietro dice:“Maestro, è bello per noi essere qui” (v. 33).
È bello per noi essere qui… Un’affermazione da cui trae conseguenze improponibili e fuori luogo: “Facciamo tre capanne” (v. 33). Ma affermazione vera e decisiva, anzi essenziale. Pietro riconosce la bellezza di quel momento, nonostante lo smarrimento e la paura.
Una parola preziosa che sembra provocare il seguito, che mette in relazione le due scene, i due registri, le due vicende. Mette in relazione l’alto e il basso: luce e sonno, gloria e disorientamento. La scena infatti continua con una nube che scende e li copre con la sua ombra (v. 34) e con una voce che invita all’ascolto (v. 35).
È dunque possibile che ciò che è luminoso possa rispecchiarsi nelle nostre vicende, che spesso hanno molto di tenebroso? È possibile per quell’intuizione, per quel gusto, per quella percezione… fattasi parola istintiva, ma non per questo meno vera, di Pietro: “Signore è bello per noi (kalon estin emas)”, cui risponde una nube che avvolge e una voce che indica la via: l’ascolto del Figlio, che ora appare nuovamente “solo”, dice Luca al termine del brano. E Pietro non dice: “È bello per me”. Usa il “noi”, parla a nome di chi in quel momento non è in condizioni di dirlo, ma che si lascia coinvolgere in quella storia.
Quell’intuizione coraggiosa sembra aprire un varco al Dio che non ci violenta, ma ci desidera; che non ci seduce, ma ama la nostra libertà.
È in questa prospettiva che noi questa sera osiamo ancora accogliere due fratelli e una sorella nell’alleanza della nostra comunità: Elia, GianMarco e Mónica. Una professione che attendevamo da tempo, che non era stata possibile per il travaglio e il disorientamento che la nostra comunità ha attraversato, e che per questo era stata rimandata. Una professione che ha il sapore del ricominciamento... Un ricominciamento preparato e accompagnato da chi negli anni precedenti ha portato il peso della fedeltà.
Cari Elia, GianMarco e Mónica – ma anche cari fratelli e sorelle tutte, che questa sera insieme vogliamo ridire al Signore e gli uni alle altre la nostra alleanza – anche noi ci sentiamo un po’ come i tre discepoli disorientati. Anche noi abbiamo fatto l’esperienza del sonno, dell’amarezza, della sofferenza, del nonsenso… “Siamo passati nel fuoco e nell’acqua”.
Ci siamo ritrovati a testa in giù come Giacomo e Giovanni nell’icona della Trasfigurazione. Abbiamo rischiato di non poterci più rialzare, perché la violenza dei flutti è stata oltre ogni umana capacità di sopportazione. E ancora oggi sentiamo in noi e vediamo nei nostri fratelli e sorelle, qui presenti o dimoranti altrove, ferite da curare, lacrime da asciugare, relazioni da risignificare.
Sembra assurdo dopo una tempesta del genere avere ancora il coraggio di dire quei “sì lo voglio” che tra poco – almeno credo – voi pronuncerete. Assurdo sì! Ma proprio per questo lo sentiamo più che mai un dono. Un dono grande, che viene dal Signore.
Di nostro – di vostro – ci metteremo la fragilità. Finalmente riconosciuta. Non solo predicata, ma misurata, assaporata, in tutta la sua umiliante e devastante drammaticità, ma anche in tutta la sua fecondità liberante. Sì: liberante! Perché si è liberi solo quando le impalcature cadono e la fragilità affiora, fino a farsi luce sul volto e sulle vesti. Perché è questo che è accaduto a Gesù sul monte: la luce è emersa nel suo essere fragile, nella sua carne: sul suo volto e sulle sue povere vesti.
Ma come Pietro vogliamo anche – ed è per questo che siamo ancora qui – ripetere, non senza stupore: “Signore è bello per noi essere qui”. Vi è la fragilità dell’insensatezza, ma anche la percezione di una bellezza che supera i marosi, che non si lascia distruggere dagli eventi avversi, che riemerge nel cuore e sulle labbra, nonostante tutto. Che è stata la nostra forza nel tempo della prova. E che spero possa tornare a essere per tutti motivo di rinnovamento della propria fedeltà. Che ciascuno di noi – non solo Elia, GianMarco e Mónica – possa ridire questa sera: “Maestro, è bello per noi essere qui”, nonostante tutto.
Sentire una bellezza al cuore della fragilità, nello spaesamento e nel timore che non di rado ci assalgono: ecco la nostra parte. Ecco la vostra parte, il vostro inizio, cari Elia, GianMarco e Mónica. Perché di inizio si tratta. Con i voti non si conclude un percorso, ma inizia una vita nuova. Una vita in cui sarà vostra cura custodire la memoria di questa bellezza. Se questa memoria resterà viva nel vostro cuore, non abbiate paura delle onde e dei possibili naufragi… Non abbiate paura!
Il Signore saprà “approfittare” di quella vostra (nostra) professione di fede (“Maestro, è bello!”). Saprà approfittare… e farà il resto, come nella scena della trasfigurazione, intervenendo con la nube e con la voce. Sul vostro proposito scenderà, infatti, la nube dello Spirito santo, che rende fecondo quel desiderio, e verrà la voce del Padre che vi ricorderà la strada per realizzarlo: ascoltare la parola del Figlio!
Questo, cari Elia, GianMarco e Mónica, avviene tra ciascuno di voi e il Signore, ma al cuore di una comunità i cui membri tra poco vi accoglieranno con un abbraccio. In quell’abbraccio c’è una promessa e c’è una preghiera. Promessa che vi dice: “non sei solo”, “cammineremo insieme”. Preghiera di chi si affida anche a voi per poter continuare a camminare. Custodi gli uni delle altre! E in questa notte vogliamo ricordare tutti coloro che in più di cinquant’anni hanno contribuito alla crescita di questa comunità. Tutti, nessuno escluso. Ciascuno con le sue luci e le sue ombre, che solo il Signore conosce e giudica. Anche chi è ormai presso il Padre.
Questo vostro impegno avviene poi nella Chiesa tutta, e nelle Chiese d’Oriente e d’Occidente, in un momento di grandi tensioni e conflitti, che vogliamo ricordare e portare questa sera più che mai nella nostra preghiera.
Infine, noi viviamo questo momento e celebriamo la Trasfigurazione del Signore in un mondo lacerato da guerre e violenze che non possiamo non ricordare. Siamo in un momento grave per le tante guerre che insanguinano la nostra terra, per le situazioni di ingiustizia che avviliscono popoli interi, per i tanti silenzi di cui ricopriamo tragedie di popoli in fuga, uomini e donne ridotte in lager e altri che muoiono ignorati da tutti… e potremmo continuare.
Questo mondo, però, non ci riporta alla memoria solo tragedie. Se siamo qui è anche per un bene che sorregge il mondo, anche il nostro piccolo mondo. Un bene che questa sera vogliamo riconoscere, per rendere grazie.
Questa festa è l’occasione che noi, sorelle e fratelli di Bose abbiamo per dire, con particolare intensità, il nostro “grazie” ai tanti amici e amiche che in questi ultimi anni ci hanno accompagnato con la loro amicizia, la loro preghiera, la loro sofferenza e anche la loro discrezione. Voi che siete qui e tanti altri che non hanno potuto esserci.
Vogliamo ringraziare in particolare i monaci e le monache che, come non mai, ci hanno dato segni della loro vicinanza. In particolare le comunità qui rappresentate questa sera: Dumenza, Grandchamp, Arona, Amelia, Pra ‘d Mill, Cellole… e le tante comunità che si sono rese presenti in vari modi. Vogliamo ringraziare l’arcivescovo + Corrado e p. Amedeo, e insieme a loro i pastori delle varie Chiese che ci hanno mandato un segno della loro vicinanza.
Vogliamo ringraziare le famiglie e gli amici dei tre professi. Li vogliamo ringraziare perché hanno aiutato voi – Elia, GianMarco e Mónica – a essere qui questa sera. Lo hanno fatto come hanno potuto… Il Signore, che conosce il cuore di ciascuno, porti a compimento ciò che noi siamo solo capaci di iniziare.